Verso un ko tecnico
Quirinale, fronda nel Pd contro Enrico Letta: "Non passerà sopra le nostre teste". Ha sbagliato i conti?
Quanti senatori del Pd risponderanno ad Enrico Letta nella partita per il Quirinale? Dopo aver cercato il muro contro muro sulla legge Zan, uscendone sconfitto e con il gruppo di palazzo Madama lacerato, il segretario vuole capire chi è ancora disposto a seguire la sua linea. Che il Pd non arrivi compatto all'appuntamento di febbraio, è scontato: tra i parlamentari c'è una minoranza che non condivide praticamente nulla delle scelte del capo.
Ma quanti sono questi dissidenti? Si limitano ad Andrea Marcucci, leader della corrente Base riformista, e a pochi altri, o il malumore è più vasto e minaccia di far naufragare i piani di Letta? Il primo a chiederselo è proprio lui. I segnali sono pessimi. Tra quelli che pretendono dal segretario un «chiarimento franco» c'è pure chi sinora ha scelto di non contestarlo. Come Valeria Fedeli, per la quale «è giusto confrontarci sui passaggi che ci hanno portato a quanto accaduto sul ddl Zan». L'ultima volta che qualcuno ha pensato di interpellare lei e gli altri sull'argomento, ricorda l'ex ministro dell'Istruzione, «era luglio. Da allora, non c'è più stata una riunione». Marcucci, come sempre, è stato il più duro nelle esternazioni pubbliche, imputando a Letta e agli altri dirigenti una «gestione fallimentare», ma in privato la linea imposta dal Nazareno è giudicata «sconsiderata» da una vasta pattuglia di senatori (Collina, Margiotta, Taricco, Valente...).
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Il solco tra la truppa e un capo che decide male e in solitudine, senza interpellarla, è allargato dalla paura che Letta ora sia tentato dal colpo di mano consigliatogli da Goffredo Bettini: spedire Mario Draghi al Quirinale e usare la fine del governo come grimaldello per far saltare la legislatura. Magari dopo aver cercato un altro scontro frontale col resto del parlamento candidando a capo dello Stato Paolo Gentiloni, giudicato indigeribile dal centrodestra, se non altro perché sarebbe il terzo consecutivo proveniente dai ranghi del Pd.
Sentire Giuseppe Conte ipotizzare il trasloco di Draghi al Quirinale ha alzato ancora di più il livello d'allarme: e se lui e Letta fossero d'accordo ad anticipare le elezioni, in modo da approfittare dello sbandamento del centrodestra? Di certo, nelle liste elettorali non ci sarebbe posto per tutti coloro che si oppongono alla linea della segreteria. Ma a tenere insieme questi e il corpaccione del gruppo parlamentare è proprio il desiderio di far arrivare la legislatura alla scadenza naturale. Cosa che può avvenire se si lascia Draghi a palazzo Chigi e se il Pd punta su un candidato di compromesso, che potrebbe chiamarsi Pier Ferdinando Casini o Giuliano Amato.
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«Se vuole passare sopra le nostre teste anche nelle scelte per il Quirinale, Letta ha sbagliato i conti», è il refrain dei senatori del Pd. Non siamo alla fronda, insomma, ma il confronto si è fatto duro. Motivo per cui domani mattina, per l'assemblea dei senatori in cui sarà messa sotto processo la linea della capogruppo Simona Malpezzi, sono state previste misure di sicurezza degne di un bunker: i membri dello staff non saranno ammessi e nessuno potrà collegarsi in videoconferenza. Tutto allo scopo di impedire che testimoni esterni assistano a una discussione in cui si prevede che volino parole grosse. La Malpezzi, dal canto suo, dovrà riferire al capo quanti sono quelli di cui ancora si può fidare.
Secondo un primo conteggio sarebbero una quindicina, su un totale di 38, i senatori del Pd disposti a disobbedire al segretario se capissero che la sua intenzione è quella di far terminare anzitempo la legislatura. Aggiunti ai loro colleghi di Montecitorio, ce ne sarebbero a sufficienza per far saltare ogni calcolo di Letta, Conte e Bettini. E chissà se è pure a qualcuno di loro che pensa Silvio Berlusconi, quando fa capire di avere i voti per l'elezione a portata di mano.