Nostalgia diccì
Paolo Cirino Pomicino, la sfida a Giorgia Meloni: "Noi siamo immortali, ecco perché la leader FdI sbaglia"
Paolo Cirino Pomicino, oltre ad essere immortale, è un democristiano invincibile. O’ministro è il centro del centro di una geopolitica che Giorgia Meloni vorrebbe cancellare dalle mappe. La sua reazione, qui, è andreottiana per pacata furia.
Caro Pomicino, la leader di FdI nelle sue prove di bipolarismo dice a Libero che «il centro significa disponibilità all’inciucio» e vorrebbe solo due schieramenti contrapposti. Come la mettiamo?
«La mettiamo che, se il centro non serve, perché Meloni sta in una “coalizione di centrodestra” e Letta, democristiano, in una “coalizione di centrosinistra”? Perché la parola “centro” non viene cassata?»
Già, Perché?
«Glielo dico io, perché: “centro” è sinonimo di cultura politica non inquinata dall’ideologia, si basa su valori precisi e accompagna la società, non inseguendola. Tutti questo fa parte di una cultura di Stato che la Dc aveva (noi stavamo risanando i bilanci, non li abbiamo affossati) e che si chiama popolarismo»
Cioè: si stava meglio con il proporzionale, la Dc e le sue mille correnti?
«Si capisce. In questi 30 anni c’è stata una degenerazione, con l’idea che la politica si debba dividere tra curva nord e curva sud, e nasce dalla grande balla del bipolarismo. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: il debito pubblico è continuato a salire, abbiamo avuto 16 governi, con 7 maggioranze diverse la cui alternanza non ha funzionato producendo continua instabilità politica».
Secondo me, scusi, la sta prendendo come una questione personale. Meloni ha il 20,8% unita a Salvini fa il 40%. Non vedo l’instabilità...
«Meloni si basa sui sondaggi, non si accorge della crisi di partiti e democrazia, e la accresce. E, sia FdI che la Lega non si sono resi ancora conto che non sono più partitini da 4-5%. Insieme rappresentano il 40% degli italiani, ma vivono nel riflesso pavloviano di dover rappresentare le minoranze. Non va bene. D’altronde la questione è culturale e strutturale»
Cioè, da ex ministro delle Finanze, parla del solito pil che cresce solo dell’0,8%, della nostra tendenza al debito?
«Anche. Ma io mi riferisco al fatto che -ci pensi- nessuno tra i 27 paesi d’Europa può vantare partiti “personalizzati”: non ci sono “Fratelli di Germania” o “Cugini portoghesi” o formazioni politiche con cinque Stelle, due soli o tre lune, o di ispirazione sportiva: lei ha mai sentito “Forza Finlandia” o “Forza Spagna”?»
Ma lei non era dell’opinione che i partiti fanno “ammuina” mentre Draghi lavora seriamente?
«Sì. Per ben cinque volte il Parlamento ha ammesso di non avere tra i suoi membri qualcuno in grado di fare il Presidente del Consiglio. Ma rispetto agli altri premier “esterni” Draghi possiede una autorevolezza internazionale mai avuta, lavora mentre i partiti si producono in piccoli litigi, giusto per fare vedere che esistono»
Però. Un ottimismo istituzionale che mai avrei detto, il suo...
«...ma siamo anche in una congiunzione astrale favorevole. I partiti devono approfittarne per rilanciare se stessi. E preghiamo Iddio che non mettano i bastoni tra le ruote a Draghi, che è un rompighiaccio che va avanti lentamente per la sua strada, il resto è fuffa. Ma fino possiamo continuare così?»
No, che non possiamo.
«Appunto, dico. Tra l’altro Stiamo correndo il rischio di un’aggressione dei mercati finanziari. Non ci rendiamo conto che stiamo facendo debito senza trovare risorse aggiuntive. Spagna e Portogallo, per esempio, hanno utilizzato, dei contributi europei, solo quelli a fondo perduto»
Mi sta dicendo -come hanno notato solo Cottarelli, Mastrapasqua e De Bortoli- che non dobbiamo fidarci del nostro pil che cresce del 6% e che ci aspettano tempi cupi?
«A parte che il Pil è al 6% perché dipende dalla forte ripresa dei consumi, e perché partivamo da -9%[/TESTO], be’; l’ideale sarebbe rimanere ad una crescita stabile del 2,5%-3%. Ci sarebbe vari modi per farlo senza indebitarci. Per esempio, con una buona moral suasion nel nome dell’interesse comune, lo Stato potrebbe chiedere alla casse professionali e ai fondi pensione che hanno una ricchezza investita di 200 miliardi di euro e fanno 20 miliardi l’anno di nuovi investimenti, di comprare 80/90 miliardi di immobili utilizzati dalla Pa. Eppoi, tenendo conto che in Italia c’è un 22% che detiene il controllo del 70% del pil della nazione, si potrebbe chiedere a quel 22% un contributo volontario»
Oddio. Una patrimoniale?
«No, la patrimoniale fa danni e allontana gli investitori. Io, a quel 22% darei in cambio il blocco degli accertamenti fiscali per alcuni anni, a condizione che essi stessi aumentino il proprio reddito di almeno 1,5 punti l’anno. Ho calcolato che entrerebbero almeno 120 miliardi. Almeno»
Non mi pare un’idea peregrina. L’ha riferita a Draghi?
«Lo dissi a Gualtieri, quand'era ministro dell'Economia. Nessun riscontro»
Torniamo ai partiti che si girerebbero i pollici. È per questo che continuano a parlare della nomina del Presidente della Repubblica?
«Un po’ sì. Al Quirinale ci deve andare uno autorevole, stimato internazionalmente, con senso dello Stato»
E Draghi non rientra nell’identikit?
«Perfettamente. Ma è meglio che rimanga al suo posto almeno fino al 2026, fino alla realizzazione finale del Pnrr. Perché chiunque altro non sarebbe all’altezza come ha certificato il Parlamento della Repubblica. Avrò forse lo sguardo appannato dall’usura del tempo, ma vedo la politica senza identità. Altro che centro...»