Picchiare duro
Roberto Cingolani contro gli "ambientalisti radical chic": "Peggio di loro solo una catastrofe climatica"
Probabilmente, ora, al vecchio Pecoraro Scanio verrà una sincope. Fulco Pratesi e Chicco Testa vagoleranno, storditi, tra le terrazze romane. Al Gore e Greta Thunberg, afflitti, saranno inghiottiti dalla notte, a bordo di un catamarano diretto verso l'Alaska per salvare le balene. «Peggio di una catastrofe climatica sono gli ambientalisti radical chic»: basta una frasetta di Roberto Cingolani, del nostro Zorro dell'innovazione, per mettere in crisi quarant' anni di ambientalismo militante. Il ministro per la Transizione ecologica, intervenendo alla scuola di formazione di Italia Viva in corso a Ponte di Legno, ha snebbiato una classe di giovani menti finora convinta che il pianeta si salvasse nei salotti green screziati di rosso.
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NO IDEOLOGIE - «Il mondo è pieno di ambientalisti radical chic ed è pieno di ambientalisti oltranzisti, ideologici: loro sono peggio della catastrofe climatica verso la quale andiamo sparati, se non facciamo qualcosa di sensato. Sono parte del problema, spero che rimaniate aperti a un confronto non ideologico, che guardiate i numeri. Se non guardate i numeri rischiate di farvi male come mai successo in precedenza». Cingolani fa gentilmente notare che la cura dell'ambiente deve andare «oltre l'ideologia», invita al confronto paritario, salta a piè pari il pregiudizio. E smonta anche i luoghi comuni sull'energia -il nucleare è di destra, il rinnovabile di sinistra- con un pensiero tranchant: «Mai come in questo momento bisogna essere laici. A me della parola nucleare non interessa nulla. Io voglio energia sicura, a basso costo e senza scorie radioattive. Se è nucleare di quarta generazione diventa semantica. È vietato nell'interesse del futuro dei nostri figli ideologizzare qualsiasi tipo di tecnologia. Quando avremo i numeri decideremo». Come dire: riapriamo tranquillamente il discorso sul nucleare pulito, dato che anche se riempissimo la pianura padana di pannelli solari e piantassimo pale eoliche su ogni italico cocuzzolo non soddisferemmo mai il nostro fabbisogno energetico. Che poi non è altro la posizione dei maggiori scienziati, da Carlo Rubbia in su, niente di trascendentale.
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Epperò, da qui, dall'onesta constatazione di Cingolani (che di professione sarebbe docente di fisica, allievo di premi Nobel), si traccia un solco. E si può riaccendere il dibattito culturale già innescato da pensatori agli antipodi: dal botanico Stefano Mancuso che afferma «la difesa dell'ambiente non è appannaggio della sinistra» all'editore filosofo Francesco Giubilei. Il quale spesso ricorda (cfr. il saggio Conservare la natura) quanto sia «necessario perciò proporre una visione alternativa a questo ambientalismo che ha le proprie radici nel '68 e si fonda su una visione anti-imprese, anti-crescita». È molto necessario. La natura non è né di destra né di sinistra. La sua cura consiste nella semplice, trita affermazione che il mondo non ce l'hanno regalato i nostri padri, ma l'abbiamo preso in prestito ai nostri figli. Certo, Cingolani è diretto ed impietoso: «Purtroppo non ci sono novità positive, ma un peggioramento di tutti i parametri più pericolosi.
Da qui al 2030 siamo chiamati aun cambiamento epocale»; e suggerisce, da mesi oramai, strategie per cambiare le cose dal problema delle emissioni, alla plastica all'effetto serra. Politicamente questo suo rigore dialettico sta spiazzando il M5S che prima se l'era intestato come salvatore della patria ecologica e ora non passa giorno che non si astenga dal fiocinarlo. Per molti Cingolani sta diventando un politico scomodo. Anche perché il Pnrr prevede per la cosiddetta "rivoluzione ecologica" l'erogazione di 68,9 miliardi di fondi a fronte di 196 miliardi totali a cui si si sono aggiunte risorse già programmate nel bilancio nazionale, circa 80 miliardi; e 7 miliardi invece dai fondi strutturali europei. Una cifra mostruosa. Che, onestamente dev' essere ancora ben gestita. La «svolta green» prevede una tassazione inasprita dell'energia tradizionale; un difficoltoso obbiettivo "Fit for 55" (l'abbattimento delle emissioni del 55% entro il 2030); la probabile crisi di 40 settori produttivi (minerali, plastica, fibre sintetiche, automotive ecc..) con 21 milioni di lavoratori coinvolti.
AZIONE GRADUALE - E, per realizzarla, la suddetta rivoluzione, deve essere prevista una gradualità di azione economica che la Francia, per dire, liquida in «misure polticamente suicide». In più c'è il problema dello scarso stanziamento per il ripristino del sistema idrico -le tubazioni d'italia che fanno acqua, la perdono al 40%-; e quello delle gestione delle acque reflue (pochissimi i denari stanziati). Cingolani, insomma, avrà il suo bel daffare. Ma il fatto che abbia tolto dal dibattito serio l'efferatezza del radical chic, be', è già un buon inizio...