Giorgia Meloni e Matteo Salvini, "quanto vale il voto dei no vax". Report pesantissimo: lo scenario
Fanno tanto rumore - spettacolarizzato a dismisura da alcuni media -, sui social saranno pure abili acchiappa-like ma in realtà i "no vax" rappresentano ben poco. Addirittura sempre meno. Quanto? Non più del 5% della popolazione italiana. Alle urne, secondo gli esperti, varrebbero a malapena l'1%. Di sicuro c'è stato un crollo degno dei 5 Stelle ai tempi del governo giallo-verde, se è vero che a dicembre 2020 (prima dell'avvio del piano vaccinale) la percentuale dei contrari al vaccino era sempre bassa ma almeno al 12%. Il merito di questa «conversione» radicale di chi è? Ma dei vaccini e della campagna vaccinale: una vera e propria beffa per i pasdaran del "no". A far di conto sulla minoranza dei contrari all'inoculazione è stato ResPOnsE Covid-19, il laboratorio demoscopico dell'Università degli Studi di Milano. Il centro studi, insieme all'istituto Swg, ha stilato un report che spiega tutto già nel titolo: «La svolta dei vaccini e la ritirata dei no vax».
Il tuo browser non supporta il tag iframe
IL PUNTO DI SVOLTA - Proprio l'arrivo in massa delle dosi del siero è individuato come il «punto di svolta: non solo per l'andamento della pandemia, ma anche per la percezione che gli italiani ne hanno avuto e per la speranza in una fine definitiva dell'emergenza». Il risultato della ricerca è inequivocabile: oltre l'80% degli italiani è favorevole al vaccino. Non solo. Cresce di settimana in settimana la disponibilità a vaccinarsi: a dicembre 2020, era il 60%. A giugno scorso si è raggiunto l'85%. Al contrario, come abbiamo detto, più che dimezzato è il fronte dei contrari alla vaccinazione: dal 12% al 5% (raggiunto fra marzo e giugno). A diminuire anche gli scettici riguardo il vaccino: i poco disponibili a vaccinarsi passano da poco meno del 10% a marzo, a circa il 6% a giugno. Questi i dati concreti, con l'attuale quadro normativo. Interessante, però, notare la risposta nel caso dovesse subentrare l'obbligo vaccinale: sul campione totale, «solo una minoranza di chi è poco o per niente disponibile a vaccinarsi, si rifiuterebbe di fare il vaccino anche qualora fosse reso obbligatorio». Nello specifico il 13% dichiara di essere poco o per niente disponibile a vaccinarsi, ma solo il 6% rifiuterebbe il vaccino anche se obbligatorio. A crescere, invece, rispetto a fine 2020, sono proprio i favorevoli all'obbligatorietà del vaccino anti-Covid: dal 43% al 52%. Secondo l'Università di Milano, «sembra che il miglioramento della situazione pandemica insieme ai progressi del piano vaccinale» abbiano portato anche ad un aumento del consenso per l'obbligatorietà dei vaccini. Non tutti i contrari all'obbligo, però, sono "no vax". Qui il discorso si fa più sfumato: «Tra chi è molto disponibile a essere vaccinato o ha già ricevuto il vaccino, poco meno del 10% è contrario all'obbligatorietà della vaccinazione», si legge nel report. Ciò suggerisce che l'intenzione a vaccinarsi «non determina necessariamente l'opinione sull'obbligatorietà del vaccino». Alla luce di tutto questo quanto potrebbe valere un partito "no vax"? Decisamente ancora meno della percentuale rappresentata nella popolazione. «Difficilmente riuscirebbe ad arrivare all'1%. Sarebbe una cosa politicamente inconsistente», spiega a Libero Carlo Buttaroni, presidente di Tecnè.
TANTE MOTIVAZIONI - Per l'analista le motivazioni di un'adesione a un soggetto politico non sono legate a una scelta del tipo «mi vaccino, non mi vaccino»: «Il valore di un progetto si misura con altri argomenti: lavoro, sviluppo, diritti e sicurezza». Anche la "dispersione" politica del piccolo tesoretto di pasdaran è agile da ricostruire: «Dentro quel magma ci sono decine di motivi per essere "no vax": ci sono quelli che non si fidano di questo vaccino anti-Covid, ci sono quelli che contestano i vaccini tout-court, c'è chi lo fa con tesi di sinistra, chi con tesi di destra...». Quanto al rischio che la campagna dei no vax possa influire nel passaggio da uno schieramento all'altro, per Buttaroni si tratta di una eventualità praticamente nulla: «È vero che l'elettorato ormai è più che mobile (fra il 2018 e il 2020 il 60% degli aventi il diritto ha votato in maniera diversa) ma difficilmente lo spostamento si lega a singoli fenomeni. A maggior ragione questo, considerato assai scivoloso dagli stessi leader politici».