Cancel culture
Ddl Zan, ma quale spinta verso l'eguaglianza? Cieca ideologia dietro alla legge: così sopprimono la nostra libertà
Vi è un filo sottile che unisce la Cancel culture (sostrato teorico del Ddl Zan) e l'amministrazione della giustizia penale nel nostro Paese: il moralismo autoritario. In ambedue i casi si ha a che fare con l'idea secondo cui non si commette alcuna infrazione sul terreno dell'identità e delle norme positive, se l'obiettivo che s' intende perseguire discende da un codice morale sostenuto dai funzionari del politicamente corretto.
In tal senso, la caparbietà con cui si cerca d'introdurre nel nostro ordinamento il concetto di "identità di genere" (cosa diversa dall'identità sessuale) rappresenta un esempio di come la cieca ideologia possa indurre a disconoscere la realtà. Infatti, dall'etnopaleontologia all'antropologia culturale, dalle scienze biologiche alla psicologia moderna, la specie umana viene divisa in due generi, il maschile e il femminile, intesi come «processi della natura» e in quanto tali recepiti dalla stessa Carta costituzionale. Evidentemente, ciò non basta.
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La formazione ideologica e autoritaria che sostiene gli adepti nostrani della Cancel culture non consente dibattito. Fatte le dovute applicazioni, esempi in tale direzione si trovano anche nella sfera della giurisdizione là dove le tesi della Pubblica accusa vengono presentate come verità inoppugnabili non sulla scorta diva lutazioni giuridico-fattuali, ma in nome di un valore morale superiore, ovvero il dovere di combattere alla radice i fenomeni corruttivi. Ma, a causa di una eterogenesi dei fini, ciò che sembrava una spinta verso l'eguaglianza (nel caso del Ddl Zan) per contrastare ogni discriminazione si sta trasformando nel contrario: in un tentativo di non consentire la libera espressione delle opinioni in dissenso.
La medesima cosa è avvenuta nell'attività della magistratura, i cui protagonisti, dopo essersi convinti di essere portatori di un'etica rigorosa, hanno sottoposto il nostro Paese a una drastica cura di "ortopedia giudiziaria", sferrando colpi mortali al sistema liberaldemocratico, al suo ordinamento e al "nobile concetto di presunzione d'innocenza". Ricorda il giurista francese Antoine Garapon - in La giustizia digitale - che «stiamo buttando nel cestino più di due secoli di conquiste civili azzerando la distinzione fondamentale fra violazione giuridica e violazione morale». Allarme già lanciato qualche decennio fa dal filosofo Karl Popper, quando avvertiva che «voler comprimere lo spazio morale entro la gabbia di una legge equivale a voltare le spalle alla democrazia liberale». Ed è precisamente ciò che si sta facendo sia con alcuni passaggi del Ddl Zan che con l'uso distorto dell'esercizio dell'azione giudiziaria.
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