A tu per tu
Carlo Nordio contro Giuseppe Conte: "I dpcm? Un giudice può annullarli. Se si vota addio al premier"
Avevamo lasciato Carlo Nordio, magistrato sino al 2017 e a lungo sostituto procuratore a Venezia, autore di inchieste sulle Br e sui reati di corruzione, intenzionato a dare le dimissioni dal ruolo di consulente della commissione parlamentare antimafia, guidata dal grillino Nicola Morra. Non se la sentiva, parole sue, «di frequentare una commissione presieduta da una persona che si è espressa come si è espressa su Jole Santelli». E poi? «E poi», conferma ora a Libero, «ho fatto quello che avevo detto. Ho inviato le mie dimissioni il giorno stesso». Il personaggio è fatto così.
Lei è uno dei pochi magistrati italiani di cultura giuridica anglosassone, che significa innanzitutto rispetto delle libertà individuali. Che giudizio dà dei divieti imposti dal governo?
«La libertà individuale va coniugata con la sicurezza, in questo caso con la sicurezza sanitaria. Tutti i provvedimenti, anche quelli più radicali, possono essere giustificati in una situazione di emergenza. A patto, però, che siano razionali. In questo caso non sempre lo sono. Per esempio, non si capisce perché i ristoranti siano sicuri a mezzogiorno per il pranzo, e non la sera per la cena».
Il divieto di transito tra comuni il giorno di Natale in quale categoria lo inserisce?
«In quella delle assurdità. Sul Montello, dove io vado, anzi andavo a cavallo prima del virus, alcune case hanno l'entrata nel comune di Giavera e il cancello del giardino in quello di Nervesa, e in alcune frazioni è addirittura impossibile andare da un estremo all'altro dello stesso comune senza transitare per un Comune. Così è in molte altre parti d'Italia».
Almeno su questa proibizione, il governo pare intenzionato a ripensarci.
«Ma ormai il danno di immagine è fatto: sono provvedimenti poco meditati. Se i cittadini non si convincono con le buone è giusto intervenire con le cattive, ma bisogna farlo con il cervello, non con l'emotività o peggio ancora con i pregiudizi burocratici. E purtroppo questo non è stato fatto».
Al di là delle intenzioni, si è molto discusso sulla "qualità" delle norme contenute nei Dpcm e negli altri provvedimenti governativi. Come sono state scritte?
«Le norme dovrebbero esser sempre chiare e comprensibili, e da noi lo sono sempre meno. Dal punto di vista tecnico, poi, si è fatta molta confusione. I Dpcm non sono leggi, quindi non possono essere accusati di incostituzionalità. Ma in quanto atti amministrativi possono essere impugnati davanti ai Tar, e quindi annullati. Non solo. In base a una legge del 1865 - vecchia, ma mai abrogata - possono anche esser disapplicati dal giudice ordinario. In parole semplici, una sanzione irrogata sulla base di un Dpcm può esser annullata dal giudice che ritiene il provvedimento illogico, o viziato di eccesso di potere».
Non è ancora accaduto, però sarebbe clamoroso.
«Fino ad ora il terrore della pandemia ci ha paralizzati. Ma potrebbe accadere, e allora avremmo una giustizia territoriale, a seconda delle interpretazioni dei vari magistrati».
Intanto la lotta al Covid si è trasferita nei tribunali. Gli amministratori hanno paura a firmare le carte, perché sanno che probabilmente dovranno risponderne davanti alle procure. Il risultato è la paralisi. Colpa di chi scrive le leggi o dei magistrati che le applicano?
«Sono colpe equamente distribuite. La politica ha delegato alla magistratura - non per scelta, ma per pura acquiescenza supina - una serie di compiti, e non ha il coraggio di intervenire per risolverli. Il risultato è che ogni amministratore è esposto al rischio di un'indagine lunga e costosa, ed è ovvio che cerchi di cautelarsi, anche con mezzi anomali».
Il governatore della Lombardia, Attilio Fontana, è arrivato a chiedere un "placet" preventivo alla procura di Milano sugli acquisti senza gara dei vaccini anticovid.
«Capisco benissimo Fontana, anche se la sua richiesta era ovviamente irricevibile, perché esulava dai compiti della procura. Aggiungo che in questi giorni sono stati assolti dopo un calvario gli ex ministri De Girolamo e Mannino. La stessa Ilaria Capua si è dimessa dal parlamento ed è dovuta emigrare per un'accusa infamante rivelatasi, come si capiva fin dal principio, del tutto infondata. Ed è stato appena archiviato il prefetto di Venezia Vittorio Zappalorto, anche lui indagato a lungo da una pm per un atto che il gip ha ritenuto addirittura meritorio».
Cosa unisce queste vicende?
«Ci raccontano tutte che l'incertezza delle norme si coniuga all'aggressività di alcuni magistrati, e questo crea l'amministrazione difensiva. Ma la nemesi sta arrivando, poiché anche i miei colleghi vengono sempre più di frequente denunciati e devono pagarsi l'avvocato. Nemmeno loro si sentono più tanto tranquilli. Siamo già in presenza di una giustizia difensiva».
Che vuol dire «giustizia difensiva»?
«Vuol dire che alcuni pm o gip, piuttosto che prender decisioni coraggiose, come quella di non procedere quando ritengono che l'accusa non regga, preferiscono fare il processo, lasciando la decisione ad altri, per paura di essere denunciati dalle presunte vittime del reato».
A Catania è iniziato il processo a Matteo Salvini, rinviato a giudizio per avere trattenuto 131 immigrati a bordo della nave della guardia costiera Gregoretti. È un processo giusto?
«È un processo politico, voluto dall'attuale maggioranza contro il parere tecnico della stessa procura, che aveva chiesto l'archiviazione. Ma scommetto che non arriverà al dibattimento. Salvini sarà scagionato prima, perché questo processo, a parte l'infondatezza del reato, non conviene a nessuno».
Il nodo più importante è quello che riguarda Giuseppe Conte e Danilo Toninelli. È concepibile una responsabilità penale del titolare del Viminale sganciata da quella del presidente del Consiglio e degli altri ministri?
«Proprio per questo il processo non conviene a nessuno. Conte è in un vicolo cieco, ed è singolare che non se ne siano accorti quando al Senato hanno votato per il processo. Giustamente il gup di Catania vuole sentire tutti i ministri coinvolti nella gestione della nave, compreso il presidente del Consiglio, che garantisce l'unità di indirizzo del loro operato. Ebbene, Conte ha detto di essere stato in dissenso con il suo ministro, e quindi di essere a conoscenza che Salvini stava commettendo quello che riteneva un reato».
Il premier rischia, quindi?
«Se confermerà ciò che ha detto, e non vedo come possa fare altrimenti, sarà indagato per concorso, perché non ha impedito l'evento che aveva il dovere giuridico di impedire: così stabilisce l'articolo 40, secondo comma, del Codice penale. Ma, ripeto, poiché il reato non c'è, credo che tutto finirà con un non luogo a procedere».
Molto rumore per nulla, alla fine.
«Di certo non una bella pagina per la giustizia, piegata alla ragion politica. Pensavo che Renzi avrebbe votato altrimenti. Ne sono rimasto estremamente deluso».
Adesso Renzi minaccia di fare cadere il governo. Lei ci crede?
«Fino a ieri lui e Conte erano come i due scorpioni nella bottiglia: se uno colpiva per primo, poi moriva anche lui. Se Conte cadesse, e si andasse a votare, probabilmente scomparirebbe dalla vita politica, ma neanche Renzi, secondo i sondaggi, ne uscirebbe bene».
Il Pd non sa per chi parteggiare.
«Il Pd credo si libererebbe volentieri di entrambi, e le elezioni anticipate gli sarebbero vantaggiose, perché recupererebbe molti consensi finiti ai grillini. Però è terrorizzato dall'idea che un nuovo Parlamento a maggioranza di centrodestra elegga il prossimo presidente della Repubblica. Il quale non solo nomina alcuni giudici costituzionali, presiede il Csm ed altri organismi, ma esercita oggi una moral suasion molto più intensa della mera funzione notarile che contrassegnava l'alta carica alcuni decenni fa».
Tirando le somme?
«Tutto lascia supporre che queste polemiche non sortiranno effetto. Ma se Renzi e il Pd avessero la certezza - e questo non lo possiamo sapere - che la caduta del governo non porterebbe ad elezioni anticipate, allora Conte avrebbe, scusi il bisticcio di parole, i giorni contati».
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