retroscena

Gianni Letta, il consigliere che vuole separare Berlusconi dai sovranisti: la mira, il Quirinale

Alessandro Giuli

Sono tutti lì ad almanaccare sulla seconda giovinezza di Gianni Letta e non hanno capito che Letta è invecchiato soltanto per l'anagrafe: non per la biologia né tantomeno per la politica. L'unica certezza intorno ai suoi 85 anni è che l'uomo è largamente quirinalizzabile (anche se non prima del 2022). Ma qui subentra un discorso nuovo e differente al tempo stesso. Letta è tornato al centro della scena, anzi dei retroscena e dei retropensieri, dopo il fugace incontro con il ministro degli Esteri ed ex capo politico dei Cinque Stelle, Luigi Di Maio. Molti ne hanno tratto la convinzione che quell'appuntamento fosse soltanto il prologo di un capovolgimento parlamentare tale da modificare lo schema della maggioranza, con un sostegno più o meno tacito da parte di Forza Italia. Di Maio si è affrettato a smentire. Eppure c'è dell'altro, eccome se c'è, dietro la sopraggiunta centralità di Silvio Berlusconi nel grande gioco della piccola politica nazionale. Letta ha condotto trattative separate (perfino rispetto a Fi) con Giuseppe Conte sia sul dossier relativo alla legge elettorale giacente in Parlamento, sia sulle nomine pubbliche recentissime e su quelle che verranno; sia appunto sull'eventualità che i berlusconiani, pur non entrando formalmente nella maggioranza giallorossa, assicurino in Senato quella stabilità necessaria al cabotaggio del governo. Foss' anche a prezzo di una microscissione ancora solo all'inizio. Ma perché tutto questo? E sopra tutto, in cambio di cosa?

 

 

RAPPORTI A SINISTRA
Alcuni sostengono che Letta straveda per Conte ma è vero esattamente l'opposto: l'avvocato di Volturara Appula si considera un suo discepolo e vede in lui una figura tradizionale di garanzia e stabilizzazione. Certo non è un mistero che Gianni Letta abbia sempre considerato con diffidenza, perfino estetica, la narrazione sovranista di Salvini, mentre con Giorgia c'è una certa consuetudine rafforzata dalle trascorse, comuni esperienze di governo. Sul piano delle idee, Letta rimane un classico democristiano persuaso della necessità di un centro mediatore d'ogni istanza radicale da includere sulla base di un disegno moderato, europeista e dialogante. Nello stato d'eccezione seguìto alle elezioni del 2013, fu lui l'artefice esecutivo del vecchio patto del Nazareno con Matteo Renzi, dopo aver peraltro gestito con Giorgio Napolitano la stagione delle larghe intese intorno alla premiership del nipote Enrico Letta.

Ed è sempre stato lui il capo d'ogni ambasciata diplomatica presso le sinistre, la presidenza della Repubblica, le più alte istituzioni nazionali e i potentati stranieri, a cominciare dal Vaticano. Insomma se esiste un nemico dichiarato del vecchio schema nazional-populista e un deterrente del centrodestra a trazione sovranista, questo è appunto Letta. E fin qui siamo in un orizzonte ideologico perfino scontato. Quel che invece pochi notano o ricordano è che la figura in questione non è soltanto quella d'un politico coltivato al servizio del sovrano di Arcore: Letta è anzitutto un uomo di Stato, lungamente impegnato nel ruolo di sottosegretario alla presidenza del Consiglio con deleghe ai servizi segreti, capace di uscire a intermittenza dalla divisa di parte del dirigente d'azienda forzista per indossare i panni dell'impersonalità pubblica. La sua stagione di gloria è passata, d'accordo, ma i suoi terminali di riferimento sono ancora presenti un po' dappertutto: nelle imprese pubbliche, nelle Authority, nel Deep State, nei gangli vitali dell'informazione così come nei salotti buoni del capitalismo finanziario e nelle terrazze del potere romano. Latenti o no, i giannilettiani vivono e lottano assieme a lui. Ma non necessariamente "per lui". Perché il giannilettismo è meno un'idea personificata in carne e ossa che un modo di stare al mondo.

Se la sua cifra individuale sta nella riservatezza e nel silenzio operoso (modello "leading from behind"), cionondimeno l'esperienza e la natura l'hanno anche dotato d'una insospettabile facondia oratoria che va ben al di là del galateo mondano cui resta devoto. oratore d'eccezione Un esempio loquente al riguardo è il sontuoso e accorato elogio funebre riservato allo 007 italiano Nicola Calipari ucciso nel 2005 mentre liberava la giornalista Giuliana Sgrena dalle grinfie dei tagliagole jihadisti. Eccone un breve saggio: «Ma tu Nicola hai fatto molto di più: non hai soltanto liberato e salvato Giuliana, non hai soltanto dato uno splendido esempio di coraggio tu hai ridato fiducia all'Italia tutta. Tu hai saputo riportare in superficie quelle virtù nascoste grazie alle quali un paese vive e va avanti». È un periodare degno d'un presidente della Repubblica? Chissà. Lui non lo dirà mai ma è verosimile che s' immagini a proprio agio intronato sul Colle, a custodia di una nazione governata da un leader di destra temperata e con Silvio Berlusconi monumentalizzato dalla carica di senatore a vita. In ogni caso, ecco di chi parliamo quando parliamo di Gianni Letta.