Verso Palazzo Chigi

Pd, Renzi premier e la tentazione irresistibile: "E' la mia occasione"

Giulio Bucchi

«È la mia grande occasione. E me la voglio giocare. So che è rischioso, che posso bruciarmi. E so benissimo che molti, anche nel Pd, non sperano altro. Ma tranquilli, poi starà a me giocarmela. Le idee non mi mancano. Lo vedranno». Matteo Renzi si è convinto che valga la pena tentare questa partita. Ha ascoltato tutti, ha soppesato i pro e contro di un’operazione, quella di succedere a Enrico Letta in corsa, che presenta insidie evidenti. Ma l’uomo ama il rischio. E di fronte alle scommesse che sembrano impossibili, non sa resistere. Così ha fatto, ricordava ieri coi fedelissimi, accettando la sfida di candidarsi a segretario del Pd quando tutti lo sconsigliavano. Così, ora, prova a fare prendendo in mano il timone di questo governo di larghe intese.  Le ragioni di questa scelta le ha spiegato ieri mattina davanti ai deputati del Pd, riuniti in assemblea: «La batteria del governo è scarica, dobbiamo decidere se va ricaricata o cambiata. È come in un videogame, il governo ha la barra della vita al 18%. Per fare le riforme bisogna ricaricarlo. Dobbiamo solo decidere se farlo nella XVII o nella XVIII legislatura». Insomma o si fa il Renzi 1 - perché Letta da solo non si ricarica - oppure si va al voto. Ma quest’ultima ipotesi è da scartare: «Non si può andare a votare con questa legge, perché significa larghe intese per sempre». Dunque, non resta che la prima chance: prendere in mano il governo. Non con qualche innesto di ministri, «il mini-rimpasto non serve a nulla», ma cambiando la testa. Cambiando Letta. Un discorso, questo, che ha fatto breccia tra i parlamentari del Pd, ormai convinti al 90% che sia meglio puntare su Renzi premier. Chi per convinzione (parte dei renziani), chi perché pensa che in questo modo la legislatura possa arrivare al 2018 (un po’ tutti, ma in particolare i parlamentari che rischiano di non essere ricandidati al prossimo giro, quindi innanzitutto quelli della minoranza), chi perché spera che il segretario del Pd si bruci (bersaniani e dalemiani), chi perché sogna che «con Matteo al governo, ci riprendiamo il partito» (i pasdaran dalemiani).  Il sindaco-segretario ha il quadro di questa galassia e delle opposte motivazioni che la muovono, dietro un’apparente, bulgara unanimità. Proprio per questo, di fronte ai deputati, ha fatto balenare l’ipotesi che, con lui premier, la legislatura possa arrivare fino al 2018. Anche se, in realtà, coi suoi non esclude anche un altro scenario. «Non è detto che il Renzi 1 duri in eterno. Intanto bisogna portare a casa la legge elettorale e la riforma del Senato, così svuotiamo Grillo. Poi, finito il semestre di presidenza europeo, vediamo». L’importante è non passare un anno a portare acqua a un governo «che non fa niente», per poi doversi presentare alle elezioni «pagando il prezzo al loro posto». Come è accaduto a Walter Veltroni con il Prodi 2.  Dunque, il dato è tratto. Ormai è questione di ore. «È la mia grande occasione, voglio giocarmela». Certo, perché il Renzi 1 decolli bisogna, prima, che un po’ di caselle vadano al loro posto. La prima, il Quirinale, si è sistemata: nella cena dell’altra sera Giorgio Napolitano ha fatto capire al segretario dei Democratici che, se il Pd e tutti gli alleati chiedono un cambio di guida dell’esecutivo, non sarà lui a opporsi. Poi, ieri pomeriggio, Scelta civica ha premuto il grilletto, chiedendo le dimissioni di Letta. Una mossa che Andrea Romano aveva concordato con Renzi il giorno prima, incontrandolo con Stefania Giannini, segretario di Sc, al Nazareno. Oggi, si dice nell’entourage del segretario, potrebbe esserci una simile presa di posizione da parte di Angelino Alfano.  Resta la pedina più dura a muoversi: Letta. Ma di fronte a questo pressing, è difficile che resista a lungo. «Ora», confidava ieri sera Renzi ai fedelissimi, «il pallino è nelle sue mani. Napolitano gli ha detto che non lo può difendere a oltranza. Se si sfilano Ncd e Scelta civica, non è che Letta puo tirare avanti all’infinito». È escluso, comunque, che il Pd lo sfiduci in Parlamento o in direzione.  Per questo, ieri, le diplomazie democratiche sono state al lavoro per convincere il premier a fare un passo indietro. Lorenzo Guerini, portavoce della segreteria, ha parlato a lungo nel cortile di Montecitorio con Gianni Dal Moro, lettiano doc. «Non possiamo fare uno show-down in direzione, anche perché sarebbe un’umiliazione per Enrico», è il concetto che il primo ha provato a spiegare al secondo.  «Spero che Matteo e Enrico si parlino prima di giovedì», rifletteva Antonello Giacomelli, braccio destro di Dario Franceschini.  Ma ormai è solo una questione di tempo. La sostanza è che «il governo Letta ha le ore contate», si sentenziava tra i fedelissimi del segretario.   La vera preoccupazione di Renzi, ora, è un’altra: con quale maggioranza tentare questa nuova, rischiosa avventura? Escluso l’ingresso di Forza Italia, il segretario del Pd vorrebbe provare ad allargare l’attuale compagine a Sel e magari a una parte dei grillini. Nichi Vendola ne ha parlato a lungo in Transatlantico con Gianni Cuperlo. Sel è spaccata sul da farsi: entrare in un governo con Alfano, mentre alle Europee si fa la lista con Tsipras, non è facile da spiegare. Si potrebbe, però, pensare a un appoggio esterno. La stessa cosa potrebbero farla i grillini, in particolare una pattuglia di senatori che pare siano pronti a sostenere un governo Renzi. Oggi sarà la giornata decisiva. Dopo essersi preso, ieri sera, una pausa dai travagli politici, andando allo stadio per Fiorentina-Udinese, questa mattina, all’alba, prenderà l’Eurostar. Direzione Roma. di Elisa Calessi