Le conseguenze
Vince Renzi: trema Letta e perde il Partito democratico
La vittoria "monstre" di Matteo Renzi alle primarie del Pd, superiore anche a quanto previsto dagli ultimi sondaggi che lo davano al 60%, è di contro una clamorosa sconfitta per il governo di Enrico Letta, un nuovo durissimo colpo per un esecutivo già scricchiolante. Il Partito democratico guidato dal sindaco rottamatore, infatti, promette battaglia a ciò che resta delle larghe intese, aggrappate - dopo la scissione Ncd-Forza Italia - a una maggioranza risicatissima. I militanti del partito democratico, attraverso le primarie, dicono chiaro e tondo che questo governo non lo vogliono più. Governo a rischio - Renzi non ha mai lesinato critiche a un esecutivo accusato di immobilismo, e ora il fronte anti-governativo è sempre più esteso: da Forza Italia a Grillo, dalla Lega a Nichi Vendola. E poi, appunto, c'è Renzi, disposto a concedere pochissimo altro tempo a Palazzo Chigi. Il programma di Matteo - per altro imposto anche dalla Corte Costituzionale - è chiaro: subito la riforma elettorale, e poi il voto, il prima possibile. Un'idea che lo accomuna a Silvio Berlusconi e Beppe Grillo, i due leader che vogliono superare il Porcellum al più presto per poi tornare al voto. Per Letta, dunque, il Parlamento si trasforma in un Vietnam, luogo di imboscate, dove anche il "suo" Pd, ora, potrebbe rivoltarsi e mandarlo a casa. Nomenklatura, addio - Il risultato delle primarie, inoltre, tratteggia la sconfitta dello stesso Pd. Al Nazareno si canta vittoria per l'alta affluenza, per "l'esercizio di democrazia", ma la verità è che quasi l'85% dei votanti si è espresso contro l'apparato, incarnato dal candidato Gianni Cuperlo. Renzi e Civati, infatti, insieme arrivano quasi all'85 per cento. E Renzi e Civati sono due candidati che propongono un radicale cambiamento del Pd, della nomenklatura e del governo. La stragrande maggioranza dei votanti, di fatto, ha bocciato senza appello ciò che il Pd è stato fino a oggi. Il messaggio è chiaro: i militanti democrat, dei vari D'Alema, Bersani, Finocchiaro, Fassina e Bindi, non ne vogliono più sapere.