Bombardamento

Gianluigi Paragone, funerale politico a Luigi Di Maio: "Un debole. Mi fa tenerezza"

Davide Locano

La sua linea di dissenso radicale alla "mutazione" grillina nel Conte bis continua a creare scompiglio. Dal suo M5s - e anche dal Fatto Quotidiano - gliene stanno dicendo di tutti i colori: lo chiamano «facilone in cerca d'autore», «giornalista pentito». Lui, Gianluigi Paragone, non si scompone. Da un lato è sportivo: «Quando tiri cazzotti, questi si danno e si prendono». Dall'altro, nel commentare i suoi detrattori, è spietato: «Ci sono i gregari e ci sono i protagonisti. Adesso stanno parlando i gregari, che devono rispondere a me che sono un protagonista...». Paragone, in tanti vogliono andare via. Chi per rafforzare Conte, chi per decapitarlo. Che succede? «Semplice: non c' è più il MoVimento». E cosa c'è? «Un gruppo che vuole evolversi in partito, partecipare alle dinamiche di Palazzo e giustamente lo fa perché si sente ormai parte di questo. Non è parte del sistema, perché il sistema non si può ancora fidare di costoro, però loro stanno facendo di tutto per essere un partito e interlocutori del Palazzo». Sulle forze in uscita non mi ha risposto però. «Siamo al tana liberi tutti. Molti parlamentari hanno visto che i governativi si sono già riparati al sole, e quindi si domandano: perché dobbiamo rimanere qui solo a pigiare bottoni? A maggior ragione dato che i parlamentari non contano un tubo. Lo ha dimostrato la legge più importante: la manovra. Qui il Parlamento non ha toccato palla, sotto gli occhi del presidente Mattarella, della Casellati e di Fico. E dire che per il M5s il Parlamento doveva essere centrale: "Ciao core", dicono a Roma». In tre al Senato hanno fatto le valigie in direzione Lega. «Ognuno si va a riparare dove ritiene opportuno. Diciamo che non mi è piaciuta la velocità con cui hanno ostentato il passaggio, addirittura con la spilletta». Resta il fatto che sul Mes la retromarcia è stata rovinosa. «Il programma del M5s era chiaro. Lo stanno tradendo». Mezzo piede fuori è anche il suo. Il suo «no» alla legge di Bilancio si è fatto sentire. Aspetta gli epuratori o ne prende atto? «Voglio che il M5s ci metta la faccia. Io ce l' ho messa per dire "no" e per dire che il re è nudo. Adesso tocca a loro. Se tentano di guadagnare tempo e di tirarla per le lunghe non glielo consentirò. Si devono sbrigare: devono dirmi o dentro o fuori». Il Carroccio è l' approdo naturale per un frondista pentastellato? «Trovo sbagliato regalare alla Lega la battaglia contro l' establishment che poi va a sbattere con le dichiarazioni e le aperture a Draghi. Non puoi essere anti-austerity o anti-Bruxelles e poi candidare Draghi premier o capo dello Stato. Io non voterei mai una figura come Draghi perché, lo ricordo bene, è quello che diceva che le riforme si fanno col pilota automatico. Siccome io le riforme di Bruxelles non le voglio, rimango coerente». L'anti-emorragico, autoproclamatosi, contro le fuoriuscite è Beppe Grillo. Ci riuscirà? «L'ha detto lui: non sono in grado». Ma forse non ne ha neanche voglia. Per Luigi Di Maio chi dissente come lei «rema contro il Paese». «Ehhh. Mi fa un po' tenerezza. È come il povero Giacomo della Settimana Enigmistica. Non so neanche cosa dirgli. Il Paese non mi sembra che voglia questo governo e queste ricette. La sua è proprio una frasetta da bambino delle scuole elementari. Fa anche tenerezza ormai per questa sua debolezza cronica». Tornando a Grillo, per il comico il compito per il prossimo anno sarà parlare di «cose belle» al Pd. «Questa è una colossale cazzata. L'artista può dire "bisogna parlare delle cose belle" ma il Paese ha una rabbia dentro che purtroppo non è che l' anestetizzi con le sardine o con i pensierini dei baci Perugina. Il Paese sta soffrendo: c' è un potere d' acquisto delle famiglie che è basso, un ceto medio alla frutta. C' è un drammatico problema di case e di alloggi, come drammatico è il problema di contratti di lavoro troppo leggeri. Stiamo vivendo una vita a rate e la rabbia è reale». Per Zingaretti il premier del futuro è Giuseppe Conte. «Auguri! Per me lui è quello che nel teatro di Ionesco è perfettamente descritto nella commedia "Il rinoceronte". Lui è il trasformista che viene "premiato" in questo teatro dell' assurdo». Il Pd parla di agende, Di Maio di cronoprogramma. Paragone, qui vogliono continuare. «A dicembre le agende non si negano a nessuno. È pieno di gente che regala agendine. Ma a febbraio non c' è più traccia delle agende regalate». Si dice che siano pronti i "responsabili" a salvare il governo. «Non ho mai visto una roba che si tiene con lo sputo. Non so quando, però per citare Novecento di Baricco, a un certo punto il chiodo non tiene più il quadro. Non sai né come né quando ma quel quadro cadrà. Poi in Novecento il protagonista dice di voler scendere dalla nave e non scende; qui invece il rischio è che tutto cada. Ma cade perché il peso di un Paese in sofferenza è talmente grande che questa roba non potrà tenere». di Antonio Rapisarda