Dietro le quinte

Pietro Senaldi su Matteo Renzi e Luigi Di Maio: non si sopportano ma nessuno dei due romperà

Davide Locano

La premessa è che finire nel mirino della magistratura in questo Paese per un politico è, purtroppo, il più delle volte una medaglia anziché un marchio d' infamia. La storia infatti dice che, appena un leader si fa notare e dimostra di avere più numeri degli avversari, viene lambito, se non centrato in pieno, da inchieste giudiziarie, troppe delle quali, alla fine si rivelano di natura politica più che penale. Oggi tocca a Renzi, per i finanziamenti alla sua fondazione, Open, ieri toccò a Craxi, per ragioni simili, quindi a Berlusconi, per le sue aziende, e infine a Salvini, per aver cercato di arginare l' ondata migratoria fuori controllo. Leggi anche: Inchiesta Open, il cupo sospetto di Casini sui magistrati Le cronache raccontano che i messaggi delle Procure, ai suoi famigliari e ai suoi uomini di fiducia, hanno fatto diventare Renzi garantista e questo è un ulteriore motivo di divisione con gli azionisti di maggioranza del governo che il Rottamatore ha fatto nascere, ovverosia i grillini. Il fondatore di Italia Viva accusa i giudici di voler condizionare la politica e noi siamo d' accordo con lui, pur essendo sempre stati critici nei suoi confronti quando governava e gli italiani gareggiavano per fargli la riverenza. La nostra solidarietà non dipende dal fatto che l' uomo è in un momento di difficoltà e quindi non sarebbe elegante maramaldeggiare, ma dal nostro essere garantisti, come tutto il centrodestra. Detto questo, l' ex premier oggi non governa più con Berlusconi, ma con Di Maio e Bonafede, che hanno fatto della dittatura delle manette la legge suprema, capace di invalidare tutte le altre. In questi giorni la maggioranza è lacerata sulla norma che abolisce la prescrizione, un caposaldo grillino che nessuno, a parte M5S, vuole. Dal nostro punto di vista è allucinante che un partito al quale gli italiani hanno di fatto ritirato la fiducia e che, benché abbia una rappresentanza parlamentare del 32%, oggi non vale più del 12-13, possa imporre una norma così importante contro il volere di tutti gli altri. La questione giustizia evidenzia l' insensatezza di questo governo, dove ognuno la pensa diversamente, eccezion fatta per l' odio nei confronti della Lega e di Salvini, che ha sostituito Berlusconi nel sinistro immaginario del male assoluto. Sta ai protagonisti prenderne atto anziché litigare in piazza e scagliarsi frecce al curaro. Di Maio chiede una commissione d' inchiesta su Open, Renzi risponde che ne vuole una sulla Casaleggio Associati. Ben vengano, però il leader di M5S, giacché guida un partito di manettari, se sospetta che il capo di Italia Viva sia un lestofante, smetta di governare con lui anziché continuare a camminarci mano nella mano, ma pestandogli i piedi. E così il Rottamatore, se si è convinto a proprie spese che la giustizia in questo Paese è un problema e che la riforma della prescrizione è un obbrobrio, rottami anche il governo giallorosso al quale ha dato vita, anziché continuare a dire che la pietanza gli fa schifo senza cambiare piatto. NESSUNA VENDETTA In questo spettacolo indecoroso, fa buona figura il centrodestra. Solo un mese fa Renzi accusava Salvini di aver utilizzato i 49 milioni spariti di finanziamenti pubblici alla Lega di Bossi per creare il proprio impero social. A caldo, il Matteo padano non si è vendicato e ha fatto sapere di non voler commentare gli ultimi travagli giudiziari dell' omonimo fiorentino. Quanto a Berlusconi, al quale il Rottamatore aveva dedicato un tombale «game over» a commento della sentenza definitiva che lo avrebbe escluso dal Parlamento, valgono le parole che pronunciò prima all' arresto e poi alla condanna per truffa dei gentitori di Renzi: «Sono cose che in un Paese civile non dovrebbero accadere, bisogna separare le carriere tra pm e giudici». Quando ci si scotta, di solito si cambia idea. Se davvero il leader di Italia Viva pensa metà delle accuse che ha rivolto nei confronti della Procura di Firenze che indaga i suoi amici e ha fatto condannare i suoi genitori, non può stare un secondo di più al governo con M5S. Altrimenti tutte le sue lamentele diventerebbero indistinguibili dal noioso bla bla dei politici. Il punto però è che Matteo non è pronto a far saltare il banco e affrontare le urne: oggi meno che mai vista la tempesta giudiziaria che si è abbattuta su di lui. E neppure Di Maio può permetterselo, a meno di non spaccare M5S e tentare un' avventura improbabile e solitaria. I due quindi probabilmente seguiteranno a beccarsi come comari insoddisfatte e a tenere il Paese in ostaggio delle loro voglie irrealizzabili. Se avesse voluto risparmiarsi guai con le procure e continuare a menare il torrone impunemente, più che vigilare meglio sulle carte di credito e i finanziamenti della fondazione che ha creato per sostenersi, il leader fiorentino non avrebbe mai dovuto lasciare il Pd. I dem sono il solo partito che garantisce l' immunità a chi ne ha la tessera in tasca meglio di qualsiasi avvocato. Oggi Renzi lamenta che in Italia sono i pm a decidere le sorti delle formazioni politiche e dei loro leader. È un po' troppo tardi per scoprirlo, e sì che l' uomo non è certo un fesso. di Pietro Senaldi