Dopo l'Umbria
Matteo Salvini, ecco perché il numero uno anche fuori dal governo
Lo zenith della strategia, Matteo Salvini l' ha toccato aggrappato ad un ramo nodoso. Al picco della campagna elettorale il leader padano c' è arrivato arrampicandosi su un ulivo secolare di Trevi; ne ha abbracciato il tronco, in stile Alberto Angela, davanti a una telecamera; e ha declamato le virtù dell'«albero di Sant' Emiliano, dove secondo la tradizione fu legato e decapitato il santo patrono di queste terre». Ecco, è da questo gesto - un po' mistico e un po' terragno come gli umbri - a cui è seguita la voce, paraculissima, di «volere prendere casa in Umbria» che abbiamo avuto la certezza: questo qui, Matteo, non vince, stravince. E, difatti Salvini, di lì a poco, avrebbe incassato il 57% dei voti, la Presidenza della Regione e la fama del ritornante, vittorioso, fiero e un tantino vendicativo. «È un risultato emozionante: gli umbri hanno dato una bella lezione a tutti e hanno confermato che a Palazzo Chigi c' è una minoranza della minoranza. È una sconfitta storica, epocale e impensabile per la sinistra e il Movimento 5 Stelle», ha esultato il padano nella Perugia espugnata dopo cinquant' anni di domino rosso («Valeva la pena aspettare»). GIOCO DI SQUADRA A corso Vannucci, la «vasca» cittadina di Perugia dove da sempre spira un innaturale vento artico, capannelli di cittadini si coagulano attorno a Salvini, sono api impazzite che danzano sul miele. Da lì, ecco grondare le dichiarazioni di Matteo ad uso dei cronisti: «Giuseppe Conte deve dimettersi? Lo chiedono gli italiani»; «mi spiace per Di Maio, ha scelto il vecchio, ha scelto la poltrona. Ognuno raccoglie quello che semina, gli italiani riconoscono le persone di parola e i chiacchieroni», «il governo Conte, Di Maio, Renzi, Zingaretti è minoranza nel Paese», «con Meloni e Berlusconi abbiamo fatto gioco di squadra: oggi ha vinto il candidato delle Lega, domani toccherà agli altri» (il riferimento, assai inclusivo rispetto agli alleati, non è all' Emilia, ma, probabilmente alle Regionali pugliesi del 2020). E via declamando, in un' euforia avvolta dalla musica di Vasco Rossi. La spiegazione di questi imprevedibili 20 punti di distacco dall' alleanza Pd/M5S sta soprattutto nell' atavica voglia di cambiamento degli umbri che sono ispidi, riottosi e non naturalmente predisposti all' assembramento sociale. I quali umbri, qui, non solo hanno aumentato l' affluenza alle urne (+9%) ma hanno visto nella Lega - che già amministra molti Comuni - la reazione di speranza a decenni di corruttele sanitarie e no, di tragitti ferroviari fermi agli anni '70, di calo di 8 punti di Pil accompagnato alla chiusura di 3.000 aziende. Se si considera anche la lista della neopresidente della Regione Donatella Tesei, il furor di popolo verso la Lega che supera il 40% è qualcosa di oggettivamente straniante. Lo dico da profondo conoscitore dell' Umbria, con una parte di sangue umbro. Dal terremoto in poi, la progressione del centrodestra è stata irresistibile, in posti irresistibilmente blindati dagli ex comunisti: Perugia, Terni, Montefalco, Deruta, Amelia, Spoleto, ecc... La vittoria di oggi è l' apice di quella progressione. Ma l' interpretazione vera del voto, a livello nazionale, è che a Salvini gl' italiani hanno perdonato il gesto inconsulto di aver staccato la spina al governo ad agosto; e hanno deciso che, in fondo, i «pieni poteri» (temperati da una carica democratica e passati al setaccio della Costituzione) non erano un' idea così malsana. Forse c' era perfino uno straccio di strategia in quello sguaiato gesto estivo: evitare la manovra - che così raffazzonata diverrà appannaggio degli avversari; divincolarsi dalla camicia di forza dei 5 Stelle che alla fine, nonostante le apparenze, avrebbero imposto ritmo, agenda e forza elettorale; ripartire dalle piazze per ritornare al Palazzo. Perché, alla fine, magari un po' rozza, un po' basic, è questa la strategia: stravincere. «Se si stravince anche in Emilia il governo ha i giorni contanti», dicono non solo i leghisti, ma anche parte dei grillini. Di questo non sarei molto sicuro, non ho mai visto un' elezione regionale o amministrativa incidere sul destino del governo centrale. Anzi. Eppure, oggi, gli sherpa di Salvini pare stiano lavorando per fare cadere il governo al Senato. Dopo la legge di bilancio, naturalmente. E ci sono due forti elementi che volgono verso le elezioni anticipate. Il primo è Zingaretti che, per evitare di usurarsi a vantaggio di Renzi il quale oramai lo tiene all' amo, deve darsi un colpo di lombi. Il secondo è l' impedire, il prima possibile, che si realizzi quel taglio dei parlamentari con successiva neo-legge elettorale che taglierà drasticamente anche gli scranni a disposizione. Se calano i posti in Parlamento, calano anche le possibilità di essere eletti, finisce la pacchia. Dall' Ulivo di Sant' Emiliano, in questi mesi, assisteremo al seguito appassionante del racconto. di Francesco Specchia