Futuro incerto

Roberto Maroni a Libero: "Alleanza tra Salvini e Renzi, come può nascere nel 2023"

Davide Locano

Esattamente due anni fa Lombardia e Veneto votavano per l' Autonomia. Ventiquattro mesi dopo poco o nulla è cambiato e dal governo gialloverde a quello giallorosso la musica sembra la stessa. Uno dei moschettieri di quel referendum era Roberto Maroni, allora governatore della Lombardia. Maroni due anni dopo il referendum, di Autonomia non v' è traccia. Deluso? «Diciamo che si poteva fare di più, soprattutto con la Lega al governo...». Ora però c' è Boccia, uomo del Sud, e saranno cavoli... «Le do una primizia: lunedì sarò a Trani su invito della federazione di Bari del Pd per partecipare ad un incontro sull' autonomia. E indovina un po': con me ci sarà il ministro Boccia. La cosa mi ha incuriosito, per questo ho accettato: andargli a spiegare a casa sua cos' è l' autonomia e perché farla sarà un vantaggio per tutto il Paese». Sembra ottimista, ma fin qui il ministro è sembrato essere un po' confuso... «Io non sono né pessimista né ottimista. Sono pragmatico. Magari Boccia in questo momento frena per favorire la campagna elettorale del Pd in Emilia, ma io credo che alla fine potrebbe anche farcela. È del Pd? E allora? È del Sud? Uno dei più grandi federalisti italiani è stato Gaetano Salvemini che era di Molfetta. E poi la Lega in 14 mesi di governo non c' è riuscita. Perché?». Già, perché? Lei si è dato una risposta? «Ne ho almeno due. La prima riguarda il metodo. Quando il governo si è insediato c' era già una bozza d' accordo che avevamo firmato io, Zaia e Bonaccini con il governo Gentiloni. Si doveva portare subito quella bozza in Parlamento e lavorarci su. Invece si è preferito rifare la trattativa. È vero nell' accordo non c' erano tutte le materie, ma c' era qualche cosa di più importante: il passaggio dai costi storici a quelli standard, da definire in cinque anni con una commissione di esperti. E poi c' era la compartecipazione regionale al gettito dei tributi, che significa più soldi a bilancio da investire». E la seconda? «Salvini come ministro dell' Interno aveva più di una competenza diretta sugli enti locali. Quando ha visto che la Stefani era in difficoltà avrebbe dovuto prendere in mano direttamente la partita. Amen. Resta però il fatto che a due anni dal referendum l' unico documento firmato rimane il mio». Maroni, torniamo al presente. Ha visto questo governo? Litiga più di quello precedente. Dura secondo lei? «Io lo chiamo il "governo del conflitto permanente", ma non credo molleranno le poltrone così facilmente. L' obiettivo chiaro è quello di arrivare al 2022 per eleggere il Presidente della Repubblica e fare 400 nomine e se non succede nulla prima è difficile che il Pd perda l' occasione, o che i Cinquestelle accettino di dimezzare il numero dei seggi occupati». Quale potrebbe essere l' evento per scatenare una crisi di governo? «Il possibile "meteorite" ha una data: 26 gennaio 2020. In quel giorno si vota in Emilia. Se Salvini vince salta il banco, come con D' Alema nel 2000. Se invece vince la sinistra il governo andrà avanti». Sabato scorso ha visto la grande manifestazione del centrodestra? Sembrava di essere tornati al 2006, non crede? «No. Nel 2006 c' era una squadra che aveva un programma e che si preparava a vincere le elezioni due anni dopo. Sabato a Roma non ho visto lo stesso spirito. Anche perché, giustamente, Salvini punta al partito egemone, come prima di lui avevano provato a fare prima Bossi e poi Berlusconi». Porterà mica male 'sta storia del partito egemone? «(ride) Ma no, anzi, a differenza del passato Salvini ha tutte le carte in mano per riuscirci. Nel 2006 c' erano tre leader (Bossi, Berlusconi e Fini) che erano all' apice e che avevano una battaglia comune, che sabato non ho visto. E proprio per questo Salvini può prendersi in mano tutto il centrodestra». Di quel trio è rimasto solo Berlusconi... «Che si ostina a rappresentare la continuità in un mondo che non c' è più. Forza Italia annaspa, è come quelle aziende ereditate dai figli che però non hanno voglia o capacità di andare avanti». E la Meloni? Non ne parla nessuno, ma il suo Fratelli d' Italia vola nei sondaggi... «Giorgia ha un ruolo interessante. Rappresenta la nuova generazione della destra e deve solo trovare un accordo con Salvini, che non sarà facile, perché lei vuole essere co-protagonista, mentre Matteo punta al partito egemone. Vedremo che succederà». Lei ha scritto (sul Foglio, ndr) che vede nel futuro un' alleanza Salvini-Renzi. Ci crede davvero? «Diciamo che è più una suggestione. Poniamo però che nel 2023 Salvini abbia il 35% e Renzi il 16/17%, potrebbe nascere una grosse koalition alla tedesca. Del resto anche quella della Merkel era del tutto inaspettata...». E in questo scenario Maroni che ruolo occuperà? «Quello di oggi. Ho fatto una scelta e non la rinnego. Amo la politica, mi ha permesso di fare esperienze che mai avrei immaginato di fare. Per questo non ho rimpianti o nostalgie. Ora è tempo di fare altro. La politica la faccio da militante». di Fabio Rubini