Declino

Silvio Berlusconi, la verità: ecco perché ha ammazzato Forza Italia

Maria Pezzi

 Quando non sanno più che altro fare, i tedeschi invadono la Polonia; Silvio Berlusconi rifonda Forza Italia, ne fa una cosa più triste di prima e l' affida a qualcuno di cui si stufa dopo pochi minuti. I suoi parti sono tutti, invariabilmente, preceduti e seguiti da una spaventosa sindrome depressiva. È con questo stato d' animo, il tedium vitae di un ricco adolescente ottuagenario, che il Cavaliere ha appena battezzato un nuovo movimento, "l' Altra Italia", sperabilmente l' ultima, per metterla nelle mani di un coordinamento collegiale dal vago olezzo testamentario. Forse per liberarsi dell' insorto Giovanni Toti, forse per necessità cosmetica aggiornata ai tempi grami e ipercinetici del sovranismo: fatto sta che Berlusconi c' è ricascato. Si è cucito addosso un completo nuovo, ha infilato all' occhiello il fiore di plastica delle primarie condominiali riservate ai soliti inquilini del privilegio cortigiano e ora si finge soddisfatto e battagliero. Non è dato sapere chi saranno i prossimi Gianfranco Fini, i prossimi Angelino Alfano o i futuri Raffaele Fitto, ma cosa volete che importi? Una cosa è già certa: non avranno il quid, la stoffa, il carattere, i numeri e il coraggio per venire a capo dell' eterno ritorno del berlusconismo sotto (s)mentite spoglie. Un trionfo di mesta autofecondazione il cui primo vagito risale a un quarto di secolo fa. Per approfondire leggi anche: Berlusconi, cannonata di Mara Carfagna Un po' di storia -  Dapprincipio fu il partito-azienda, in effetti, e aveva un suo senso, una sua urgente freschezza per improvvisare un argine al dilagare di Tangentopoli con l' eco della cavalleria post comunista in rapido avvicinamento verso Palazzo Chigi. Dopodiché fu la noia del dover concepire predellini e altre escogitazioni al passo con gli infortuni della storia. Il Polo delle Libertà e quello del buon governo, anno 1994, non erano altro che il doppio volto del Giano di Arcore che guardava con sorriso aurorale al nord di Umberto Bossi e al centrosud dei democristiani e della destra postfascista. Funzionò, salvo trasformarsi subito nel ghigno del Polo per le libertà sconfitto da Romano Prodi nel 1996. Di lì in poi, Forza Italia è diventata la cavia di laboratorio di una finzione scenica in base alla quale tutto doveva apparire rinnovato da lustrini e polvere di stelle, dall' oggi al domani, pur di occultare la sopraggiunta estenuazione del grande capo. E in questo lungo piano sequenza si sono alternate le scappatelle berlusconiane con i Claudio Scajola e i Marcello Pera, le Michela Vittoria Brambilla e gli Stefano Parisi, delfini e acciughe, totani o tonni e altri squamosi aspiranti successori di un leader che tutto aveva in mente tranne di lasciare il trono a chicchessia. Dall' ingombrante Giulio Tremonti magnificato e poi fatto secco nel giugno del 2004 fino all' ultimo plenipotenziario, Antonio Tajani, volto consunto delle ultime catastrofi elettorali. In mezzo, un acquario limaccioso in cui Berlusconi ha via via allestito il proprio set politico-cinematografico. Il memorabile predellino del 2007, quello in cui il Cavaliere recuperava il rettilare Fini dalla denuncia delle "comiche finali" in vista d' una separazione annunciata e lo accoglieva nel nascente Popolo della libertà, è stato il culmine di una pochade che si è conclusa nel "che fai mi cacci" (e lui lo cacciò) e nell' eurocomplotto tecnocratico del 2011. E nemmeno quello è bastato, perché Berlusconi avrebbe presto ripetuto il medesimo errore di plastica con Alfano: nominato erede in mancanza di controprove, assegnato al turno di guardia sul vestibolo del Nazareno e perduto per sempre nei meandri del collaborazionismo con Matteo Renzi. Una mano di bianco - Un capolavoro da osteria reso appunto possibile dall' ennesima rifondazione di Forza Italia sulle ceneri del Pdl. Ogni crisi una mano di bianco, ogni riverniciata una scissione umana e politica: divorzio sacrosanto quello da Fini; amputazione dolorosissima e funesta quella di Denis Verdini; appena fastidiosa, come per una cattiva manicure, quella di Fitto nel 2015. Non pervenuto il vai e vieni con il forzista intermittente Renato Schifani... Ma siamo all' oggi. Con Toti che scansa il frutto amaro del nuovo parto per congedarsi e dirigersi altrove; e Mara Carfagna che rimane basita sul limitare dell' uscio di un' Altra Italia che pare né più né meno la didascalia del solito dagherrotipo berlusconiano. E non è certo il sangue della contesa a cielo aperto per una leadership mai davvero contendibile, a scorrere adesso ai piedi del Cavaliere. Sono soltanto le lacrime del Caimano che si produce nell' ultima sua gemmazione politica ma non trova la sprezzatura per chiamare la tardiva creatura con il suo vero nome: L' Altro Silvio, movimento berlusconiano posseduto da Berlusconi, presieduto da Berlusconi grazie ai soldi di Berlusconi e per la sua gloria mondana o postuma. di Alessandro Giuli