Ai raggi X

Luigi Di Maio, Renato Farina: "Ecco chi è davvero e perché Matteo Salvini ora deve scaricarlo"

Davide Locano

Di Maio a chi somiglia? Ma certo, a Giuda. Un Giuda minore, analfabeta, e perciò più protervo. Non gli bastano i trenta denari. Capisce che questa è l' occasione per ribaltare i rapporti di forza con l' alleato. È convinto di tenere Matteo Salvini sotto scacco per la faccenda russa, e lo prende per la collottola, e cerca di trascinarlo alla gogna di un processo politico in Parlamento. Dove esporlo alla flagellazione di un Partito democratico che si lucida i denti da sciacallo e al fuoco (finto) amico della sciagurata banda grillina invidiosa dei successi dell' odiato alleato. Che razza di personaggio. È bastato uno sgambetto teso da qualche spione straniero a chi ti ha salvato la vita dalle ganasce degli alligatori grillini per rivelare la natura maramaldesca di questo damerino da prima comunione. Diciamocelo. Leggi anche: "Pazzo come tutti i grillini": Lega, attacco a Di Maio Chi sospettava che, prima di questa indigesta insalata russa, il guaglione di Pomigliano avesse canini da lupo mannaro? Fino a un paio di giorni fa, alla domanda sulla somiglianza, avremmo risposto: è il Richetto dello Zecchino d' Oro. Chi ha meno di 40 anni cerchi su youtube e riderà. Richetto era il simpatico ripetente, con suo bel grembiulino faceva tenerezza a Mago Zurlì, il quale lo rimbrottava con dolcezza. Ancora la settimana scorsa - ci giureremmo - Richetto-Gigino suscitava la medesima condiscendenza in Matteo Salvini. Massì, l' ometto sbagliava i congiuntivi, qualche volta esagerava nelle critiche, ma ci stava, lo capiva, offriva volentieri le parti molli alle sue freccette velenosette. Di Maio doveva pur rintuzzare la fronda interna facendo il duro e puro su Siri e Arata. Il leader leghista ha subìto, perché si fidava. Con lui aveva trovato sempre la quadra, alla fine dei conti. Quattro anni ancora e avanti. Del resto, con l' ex venditore di bibite a capo degli alleati la Lega aveva raddoppiato i voti. Perché rompere con uno così, che ti riempie la cascina di consensi? Il fatto è che con questa storia dei bacioni a tutti, Salvini si è un po' lasciato prendere la mano, fino a non sentire odor di canaglia dietro le mansuete richieste di aiuto. Vedeva il ministro del Lavoro boccheggiare nei mari tempestosi del suo partito come un re Travicello, e il ministro dell' Interno lasciava volentieri che il collega infelice si aggrappasse a lui come ad un rimorchiatore, così da trascinarlo lontano dai para comunisti guatemaltechi alla Fico e alla Di Battista, e lontanissimo dalle elezioni politiche, che avrebbero visto Di Maio concludere la sua carriera politica rovinosamente. IL BACIO SUL MURO Ci siamo sbracciati in tanti per avvertire Matteo, in primis Vittorio Feltri. Capivamo, fino a un momento fa, se voleva evitare una crisi di governo che rischia di trascinarci nelle grinfie di un governo tecnico o un esecutivo M5s-Pd. Ma se, come pare, Mattarella non intende riproporre per l' Italia un orrendo bis di Monti, adesso che Di Maio si è tolto il cappuccetto da bravo bambino, è il caso di giocare subito la partita elettorale. Ormai la zavorra dei pentastellati affonda non solo la Lega (affari di Salvini) ma l' Italia (affari nostri). Giancarlo Giorgetti, ma anche i governatori del Nord, Fontana e Zaia, hanno avvertito da tempo il loro Capitano che è l' ora di denunciare la presa in giro sulle autonomie e sulla flat tax. Nonostante tutto Salvini era convinto convenisse non recedere. In fondo questo rapporto litigarello nelle forme, era stato operativo in alcune scelte chiave sulla sicurezza. Un buon rapporto alla fine, di sostanza. Era stato Di Maio a dire a Panorama: «Io e Matteo siamo leali e risolviamo i problemi». Leali? Bisogna esserlo in due. Bisogna credere alla parola dell' altro. Non si può chiedere a chi lavora con te, di farsi perquisire dal Pd. Qualcuno, a proposito di rapporto amorevole tra i due, aveva pitturato a Roma l' immagine di un bacio sul muro di piazza Capranica: era il 23 marzo del 2018. Un anno dopo il (quasi) suocero Denis Verdini ad Augusto Minzolini aveva detto costernato: «Che volete che vi dica? Matteo è innamorato di Di Maio». Non ci abbiamo mai creduto, ma senz' altro Di Maio aveva ed ha altre preferenze maschili (in senso politico). O se lo amava, diciamo che covava il tradimento. LA MORALE Lo ha sancito ieri - e qui siamo ai dettagli di cronaca - scrivendolo su Facebook. Non nomina il leader leghista, da bravo filisteo si mimetizza dietro le volute di fumo. La prosa è da serpente a sonagli: «Vi dico qual è l' Abc del fare politica per il MoVimento 5 Stelle: quando il Parlamento chiama il politico risponde, perché il Parlamento è sovrano e lo dice la nostra Costituzione». Traduzione: noi siamo superiori moralmente ai nostri alleati. Lì accettiamo ancora purché si sottopongano a un lavacro umiliante. Di Maio aveva già lasciato intendere le sue intenzioni facendo arrivare a Repubblica questo virgolettato: «Serve trasparenza, ho aspettato finora, ma non ne ho vista». Ha l' aria di uno che vuole, può e comanda. Pazzesco. Indecente. E così a freddo ha deciso di trasformare il ciarpame russo in un veleno per l' alleato e in un ricostituente per sé stesso. È convinto che questa sua mossa spinga Salvini a Canossa. Gli chiede l' assurdo: e cioè di ribaltare l' onere della prova. Contiamo che il segretario della Lega lo mandi al diavolo. Esiste qualcosa di più importante del calcolo politico, ed è la decenza, il rispetto per la propria persona e per i propri elettori. Salvini lasci il grillino gracidante alle carezze dei suoi nuovi amici di quei giornaloni che stanno gonfiando la rana moscovita, sperando che scoppi travolgendo la Lega. Caro Matteo, non si resta un istante di più a tavola con chi ti avvelena la minestra. Di Maio con il suo morso da scorpione, crede di interpretare il detto maoista: bastona il cane che affoga. Crediamo abbia sbagliato i calcoli. Solo la crème mostra di dare peso alle rivelazioni americane di un sito dalla reputazione di cloaca. di Renato Farina