Francesco Polacchi, l'editore del libro-intervista a Matteo Salvini: "Non è un fascista ma un furbo"
A uccidere il Salone del Libro di Torino alla fine non è stato Tempo di Libri, il festival dell' editoria che Milano ha allestito per due anni e l' organizzazione sabauda ha combattuto in ogni modo, fino a provocarne la soppressione. Il salotto della cultura letteraria si è inferto da solo il colpo mortale, espellendo Altaforte, casa editrice di proprietà di un militante di CasaPound, dopo averne accettato lo stand. La cacciata è avvenuta perché Torino si è piegata al ricatto di alcuni editori di sinistra, i quali hanno minacciato di boicottare la manifestazione dopo aver saputo che Altaforte avrebbe presentato un libro-intervista al leader della Lega, pomposamente intitolato Io sono Matteo Salvini. Solo allora i neofascisti sono diventati sgraditi e, in nome della difesa dei valori democratici, sono stati messi al bando. Leggi anche: "Vi basta guardare questi 2 minuti di Lilli Gruber": Salvini, un'altra cannonata contro lady La7 Il risultato è che, come accade a Milano con la fiera del mobile e del design, anche a Torino il fuori salone, quel che accade fuori, è diventato più importante degli eventi interni alla manifestazione. «Ci hanno fatto passare le pene dell' inferno» racconta Francesco Polacchi, 33 anni, militante di CasaPound e titolare di Altaforte, «ma questa storia ci ha fatto anche molta pubblicità. Sabato alla conferenza stampa di presentazione del libro su Salvini, c' era un sacco di gente». Perché volevate andare al Salone di Torino? «È la fiera dell' editoria più importante in Italia e volevamo farci conoscere. Lo scopo era nobile». Gli organizzatori, quando li avete contattati, vi hanno fatto dei problemi per il vostro orientamento politico? «Assolutamente no. Tutti sanno che Altaforte è vicina a CasaPound e noi non abbiamo nascosto nulla, ma gli organizzatori non ci hanno fatto problemi, non ci hanno sottoposti a test di democraticità né ci hanno chiesto quali libri portavamo. Erano interessati solo alla natura commerciale del rapporto». Quando sono iniziati i problemi? «Appena si è saputo che avremmo presentato l' intervista a Salvini siamo stati travolti da una valanga di polemiche. Alcuni miei colleghi, che si ritengono più democratici di me, hanno minacciato di boicottare per protesta l' evento e il presidente del Salone, Nicola Lagioia, spalleggiato da certi suoi collaboratori, si è dissociato dalla nostra partecipazione, formulando accuse gravi, come che la casa editrice avrebbe tendenze razziste e antisemite». La qual cosa non è? «È una casa editrice d' ispirazione identitaria, non xenofoba, e non abbiamo una linea editoriale fascista. Nel nostro catalogo ci sono titoli su temi d' attualità come l' immigrazione, il neocolonialismo, il femminismo. Abbiamo un' impronta sovranista, anzi rivendico la paternità del termine, usato per la prima volta, nel 2014, sulla nostra rivista, Primato Nazionale». Editate materiale fascista? «A fare i soldi con il Ventennio sono gli editori di sinistra, che ci cacciano da Torino o che hanno assistito in silenzio a questa violazione della libertà del pensiero. Il fascismo va bene se serve a gonfiare i profitti dei potenti. Non ce n' è uno, tra i grandi, che non abbia pubblicato sul tema Mussolini, anche in toni non negativi, visto che molti storici oggi parlano del fascismo con obiettività, puntando il dito sulle sue colpe ma non nascondendone le eredità positive che ha lasciato. Se però noi ci azzardiamo a parlare non dico di Mussolini, ma di Salvini». Quindi vi hanno cacciato solo per colpa del libro su Salvini? «Il fatto che un' azienda vicino a CasaPound editasse un' intervista al leader della Lega ha mandato la sinistra in cortocircuito. Non ci hanno capito più niente, hanno cominciato a menar fendenti senza logica e noi ne abbiamo fatto le spese. È cambiato tutto in poche ore, siamo stati cacciati con una mail a tarda sera e abbiamo dovuto sbaraccare a poche ore dell' apertura del Salone. Mi rifarò in tribunale». Sicuro di vincere? «Inadempimento contrattuale e diffamazione ci sono tutti. Mi hanno insultato violentemente e minacciato. È partita una caccia alle streghe contro di me, con il risultato che in rete i seguaci degli antifascisti hanno attaccato perfino i miei figli. C' è chi mi augura che diventino gay, anche se io non ho mai detto nulla contro gli omosessuali, chi li compatisce per il padre che hanno, chi mi dice che dovrei vergognarmi per aver messo al mondo qualcuno viste le idee che ho. Vanno ancora all' asilo e già gli hanno cucito addosso una bella lettera scarlatta. Non posso dire che la cosa non mi turbi parecchio». Si aspettava questo polverone, o l' ha addirittura cercato? «Al contrario, ne sono rimasto sconvolto. Al Salone del Libro ha esposto per anni la casa editrice di Freda, la Edizioni Ar, con pubblicazioni inneggianti al fascismo, e dall' altra parte c' erano Curcio e la Faranda, gente finta dentro per terrorismo. A questa gente nessuno ha mai detto nulla, in compenso io mi ritrovo indagato per apologia di fascismo. Pensi lei da chi devo prendere lezioni di democrazia». Mi risultava che i rapporti tra Salvini e CasaPound non fossero idilliaci: come mai avete deciso di pubblicare il libro-intervista? «Chiara Giannini è una nostra autrice da tempo. Quando mi ha proposto il libro io ne ho parlato con i vertici di CasaPound, proprio perché noi spesso abbiamo criticato il leader leghista, ma mi è stato risposto che non potevo perdere un' occasione professionale simile: hanno agito contro i loro interessi e in difesa della libertà di stampa e di impresa, bella lezione ai progressisti che mi hanno censurato». E il libro, è così esplosivo? «Vale più per il ritratto umano di Salvini, che parla delle sue donne, dei suoi hobby, di com' era da ragazzo, dei figli, dei vizi. Poi certo, su cento domande ce ne sono anche di politiche, ma non lancia idee nuove attraverso questa intervista. Anche per questo la reazione di Torino è inspiegabile». Salvini cosa sapeva? «Nulla. Noi non l' abbiamo mai sentito. Sicuramente la Giannini gli avrà detto che pubblicava con Altaforte, ma non penso che Matteo ci abbia riflettuto sopra». Che rapporto c' è tra Salvini e CasaPound? «Indefinibile. Ci fu una cena cinque anni fa, ma ognuno è sempre andato per la sua strada». Che giudizio ha di lui? «Come ministro dell' Interno è il migliore che abbia mai visto: ha promesso e fatto. Come leader di partito è troppo politico: non è un duro come noi, si muove con compromessi e secondo opportunità. Per esempio sull' Europa e l' euro ha fatto retromarcia rispetto alle sue posizioni estremiste». Cosa pensa delle accuse di essere fascista che gli muovono? «Mi fanno ridere. La sinistra dice che Salvini fa politica sull' odio e la paura della gente, ma sono proprio i democratici che gli stanno scatenando contro una campagna diffamatoria e di insulti solo perché non hanno altri argomenti. Non si rendono conto che così gli fanno un favore, e non parlo solo dell' autogol del Salone di Torino. Più da sinistra accusano Salvini di fascismo, più emerge il suo profilo rassicurante: evocare Mussolini a sproposito in realtà evidenzia le differenze tra il leader leghista e il duce». Salvini però ammicca al fascismo: certe frasi, certo piglio «È un genio del marketing, ma finisce lì. La verità è che Mussolini ormai appartiene all' immaginario italiano al di là della storia, di ciò che ha fatto e non ha fatto. Tant' è che i suoi calendari sono i soli che oggi si vendono, e non li comprano solo i nostalgici». C' è oggi un allarme fascismo in Italia? «Il rischio dittatura c' è, ma da sinistra. Pensi alla dittatura del pensiero unico, qui a Torino. Pensi alla magistratura, che mi indaga perché ho difeso il mio libro». Però le manifestazione violente di CasaPound nelle periferie romane sono un fatto «Le definirei dure, quelle violente le fanno i no global e i centri sociali, che spaccano i finestrini delle auto, imbrattano i muri e si menano con la polizia. Noi siamo dei gentleman a confronto». di Pietro Senaldi