Dietro le quinte
Matteo Salvini vuole la testa di Danilo Toninelli, ma non riesce a trovarla: ciò che non sapete sul leghista
Non c'è due senza tre. Le tensioni tra Lega e Cinquestelle registrano il picco stagionale, le punzecchiature sono quotidiane. Cose da campagna elettorale, buttano acqua sul fuoco gli interessati. La verità è però che sia Salvini che Di Maio stanno già pensando al dopo voto europeo, e non con vista su Strasburgo bensì su Roma. Sembra probabile che la Lega sia destinata il 26 maggio a raddoppiare i consensi e M5S a dimezzarli. Possibile che questo determini un' esplosione del governo, anche se le incertezze su cosa accadrebbe il giorno dopo non rafforzano l' ipotesi. Di certo comunque qualcosa dovrà cambiare e gli alleati-rivali cominciano a disporsi sul campo. Così il leader della Lega ha cominciato a focalizzare il bersaglio principale del suo cannoneggiamento. Giovedì ha detto che «non si può continuare a bloccare il Paese con i no, cantieri, opere e flat tax devono partire». Leggi anche: "Ci stanno ragionando?": Salvini inchioda Toninelli Venerdì è tornato sull' argomento: «Non vorrei stessimo ragionando da troppi mesi di troppi cantieri. Ogni ministro faccia il suo, più lavoriamo meglio è, tante opere aspettano di essere inagurate». Ieri il terzo siluro: «Se invece di polemizzare si lavorasse di più e si sbloccassero i cantieri fermi, l' Italia sarebbe un Paese migliore». IL BERSAGLIO Il leader leghista parla a Di Maio, ma il bersaglio è il ministro delle Infrastrutture Toninelli. Matteo vuole la sua testa, l' impresa è trovarla, tra i riccioli e gli occhiali. Voci di palazzo riportano che i grillini sarebbero disposti a sacrificare i ministeri della Salute e della Cultura, se l' esito delle urne confermerà il sorpasso con distacco della Lega nei confronti del Movimento. Di Maio potrebbe perfino spendersi per piazzare Giorgetti all' Economia al posto di Tria, ma il plenipotenziario di Salvini ha fiutato la trappola e non ci sta. Non vuole prendere le redini di un Paese in crisi essendo costretto a misurarsi quotidianamente con la squadra grillina. Il cappone grillino da sacrificare non può che essere Ton(t)inelli, magari insieme al ministro dell' Ambiente, Costa. Non che il governante della bassa bergamasca stia antipatico a Salvini. Tutt' altro, Matteo gli riconosce di non averlo ostacolato nel caso degli eritrei della Diciotti. Il punto è che è indifendibile. A sperare che faccia le valigie non sono solo i leghisti, è l' intero Paese, soprattutto il Nord delle imprese e dei servizi, che aspetta le grandi opere, dalla Tav, per la quale ieri Torino è ancora scesa in piazza, alla Pedemontana, i cui cantieri sono bloccati per una firma di Toninelli che tarda ad arrivare. I SONDAGGI Il boom della Lega nei sondaggi è trainato dalla crescita straordinaria del partito al Centro e al Sud, mentre nel Nord il consenso si sarebbe stabilizzato. In più, per la prima volta da mesi, l' ultima rilevazione di Pagnoncelli sul Corriere non dà Salvini in crescita. Matteo resta sopra il 35%; ottimo, ma non è un' avanzata. La polemica quotidiana con l' alleato ha invece rianimanto M5S, che ha ripreso due punti, risalendo al 23. Il ministro dell' Interno sa che gli elettori considerano la partita dell' immigrazione vinta e gliene rendono merito, ma ora pretendono un segnale sull' economia. I grillini sono ormai universalmente considerati incompetenti in materia e chi lavora e produce guarda alla Lega, chiedendole di entrare in azione. Pena, il calo di fiducia. Pronti via, Matteo ha iniziato a tirare fendenti. Non siamo alla rottura, ma al suo impiattamento, e il clima elettorale non fa che favorirlo. A giugno si faranno i conti e si vedrà se il boccone sarà dolce o amaro e per chi. Certo, per quanto favorevole per la Lega possa rivelarsi un rimpasto di governo, i pesi dei due partiti in Parlamento non cambieranno e M5S potrà sempre contare sul doppio dei parlamentari, a meno di improbabili spaccature grilline. Il che significa che, a prescindere dal suo sapore, il boccone non può saziare la voglia di governo di Salvini e di chi lo vota o è pronto a farlo. di Pietro Senaldi