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Fabrizio Cicchitto, le informazioni riservate sulla morte del Pd: dopo le primarie...

Davide Locano

Caro direttore, si è aperto il congresso del Pd con le primarie alle quali concorrono ben 6 candidati. Dopo due sconfitte, di un congresso c' era certamente bisogno. Ma è un congresso serio e autentico quello che parte con 6 candidature senza piattaforme politiche e programmatiche precise? Il Pd è di fronte a due scelte assai nette, una di recupero della vecchia ditta del giustizialismo e del massimalismo sociale e l' altra del riformismo. In effetti molte di queste candidature esprimono esigenze di potere di carattere nazionale o regionale. Forse il Pd ha fatto precedere la presentazione delle candidature da un serio dibattito politico nella sua direzione, nel corso del quale ogni candidato ha esposto la sua posizione politico-programmatica? Per niente: se non sbagliamo per presentare una candidatura occorrono 1.500 firme. Adempiuta questa operazione burocratica, ecco che essa decolla. Ma tutta questa confusione del congresso del Pd mette alla radice in discussione il metodo stesso delle primarie, che impedisce una discussione politica approfondita e si fonda solo sulla proposta di leadership personali, di sommarie battute politiche che lasciano il tempo che trovano e poi di un lavorio assai intenso delle varie macchine organizzative. A mettere in questione questo metodo è stato qualche giorno fa Massimo D' Alema nel corso di un dibattito su un libro. «Ma qual è l' utilità di queste primarie?»; «Sono degli "spaccapartito"». «Se ai tempi del Pci avessimo adottato il metodo delle primarie, le avremmo fatte fra Amendola e Ingrao e ci saremmo divisi in due come una mela. Invece si riunirono 15 dirigenti e dopo una lunga discussione indicarono una personalità schiva e aliena all' uso dei media, che non avrebbe mai vinto le primarie. Questa persona fu Enrico Berlinguer, che non mi sembra sia stato un cattivo segretario del partito». Così Massimo D' Alema. IL CASO MINNITI Se poi passiamo dal metodo alla sostanza politica, le cose vanno ancora peggio. Il rischio è che con l' acqua sporca (tutti gli errori politici e comportamentali di Renzi) venga buttato via anche il bambino (il riformismo e un autentico europeismo). Da questo punto di vista è risultato disastroso il mancato decollo della candidatura di Minniti. Ciò ha inferto un colpo durissimo alla posizione riformista, largamente derivato anche dallo stato di confusione politica e comportamentale di Matteo Renzi, del quale è chiara solo una cosa e cioè il suo disimpegno rispetto al congresso del Pd. Si parla molto del fatto che Renzi starebbe preparando la nascita di un nuovo soggetto politico. Ma per fare una scissione occorrono tre cose: una leadership amata da una parte dell' opinione pubblica; una rete di parlamentari, di sindaci, di quadri intermedi; un messaggio politico molto forte. Allo stato non sta emergendo nessuno di questi elementi, anche se viviamo nell' età dell' imprevedibilità e quindi tutto può accadere. Invece sul terreno dei progetti a sinistra ne sta emergendo un altro, a nostro avviso molto inquietante. Esso consiste nella riaggregazione attorno a Zingaretti di tutta la "sacra famiglia": cioè D' Alema, Bersani, Speranza, Grasso, Boldrini, insieme a Franceschini e Gentiloni, più Cacciari, Cuperlo e altri maître à penser (abbiamo perso di vista Fusaro). Tutta questa "sacra famiglia" dovrebbe avere come obiettivo politico quello che Bersani persegue dalle elezioni del 2013 e cioè l' alleanza con i grillini per favorire la loro rottura con il "truce" Salvini. Alla base di questo obiettivo c' è la valutazione che i grillini sono in effetti "una costola della sinistra", un po' rozza e incolta, ma proprio per questo egemonizzabile da menti sapienti. UCCISO IL RIFORMISMO La piattaforma derivante da questo eventuale "cambio" sarebbe la liquidazione di ogni versione del riformismo: un cupo giustizialismo, un ecologismo concentrato contro le infrastrutture e le grandi opere, una bella patrimoniale, un antieuropeismo ideologico, la lotta alla diseguaglianza fatta attraverso un egualitarismo che considera come nemici del popolo i titolari di redditi alti e medi, insomma la lotta dei bisogni contro i meriti. A fronte di questo progetto tuttora in itinere, ma abbastanza preciso, non è possibile identificare un progetto di aggregazione dei riformisti dentro o fuori dal Pd. Di conseguenza mentre il governo Conte e l' attuale maggioranza stanno cercando di fare con l' Europa, con mille pasticci, un' intesa al ribasso che ha l' unico pregio di evitare le catastrofi derivanti dalle procedure d' infrazione ma che non è per nulla funzionale alla crescita, all' occupazione, ai salari, alla produttività delle imprese, sul lato opposto, a sinistra, di chiaro c' è solo il tentativo di una parte di essa di riaggregarsi sull' impegno dell' anticapitalismo, sperando di incontrare su quel terreno non tanto Marx e Gramsci (che parlava degli operai come dei «produttori») quanto Rousseau e le versioni moderne del luddismo («la decrescita felice»). Invece tutta l' area del riformismo appare in preda ad una crisi profonda. Emergeranno nuovi leaders e nuovi soggetti politici che consentiranno di superare questa crisi? Nulla è sicuro e scontato, ma forse i riformisti dovrebbero ripartire dalla definizione di un programma all' altezza delle nuove contraddizioni esplose in seguito alla globalizzazione e alla finanziarizzazione dell' economia. di Fabrizio Cicchitto presidente associazione Riformismo e Libertà