Manovra

Paolo Becchi: "Perché la trattativa con l'Europa è solo una farsa"

Matteo Legnani

Seguire la cronaca delle trattative e dichiarazioni dentro il governo e nella UE sulla manovra di bilancio e i movimenti dello "spread" sta diventando oltre che frustrante inutile. Sei mesi dopo la formazione del governo, reddito di cittadinanza e revisione della legge Fornero sono ancora scatole vuote, perché si sono accantonati i fondi relativi nel progetto di bilancio, senza definirne contenuti e tempi, e ora sembra che il reddito di cittadinanza diventi un bonus per le imprese (l' equivalente al sussidio per la formazione dei disoccupati). La riforma fiscale della flat tax è limitata alle partite Iva. Alla fine - diciamolo pure - non cambia molto, perché il 2,4% del Pil invece che l' 1,8% riguarda 8 miliardi su 1.700 miliardi l' anno di Pil. Una farsa. Nel frattempo le banche hanno tagliato da marzo 80 miliardi di credito, quasi tutto alle piccole e medie imprese del Nord, che sono dieci volte più soldi di quelli della differenza tra deficit al 2,4% o al 1,8%. La congiuntura europea peggiora di settimana in settimana, le borse europee tutte (non solo l' Italia) stanno franando e gli indicatori dell' Italia indicano già recessione. Leggi anche: Paolo Becchi risponde ai ricatti dell'Unione europea: "E' il momento di tirar fuori le palle" C' è chi si illude perché lo spread un giorno si ferma solo perché il governo sembra disposto a trattare con Bruxelles. Bisogna affrontare il problema strutturale, fondamentale, che in questi ultimi dieci anni non è cambiato: la produzione industriale. Nell' ultimo decennio nessun Paese dell' Europa meridionale è riuscito a riportare la produzione industriale al livello raggiunto nel 2008. Mentre i Paesi di lingua tedesca sono ora del 9% (Germania) e del 18 % (Austria) al di sopra del livello pre-crisi, l' Italia ha perso il 17 %, la Francia il 9% e la Spagna il 21% rispetto ai livelli pre-crisi. Il deficit di Renzi e Gentiloni era del 2,4% del Pil, ora Di Maio e Salvini trattano con il racket di Bruxelles per fare la stessa cosa, ma anche se tengono duro cambia poco nell' economia reale. L' Italia è fatta di produzione industriale e questa ha perso il 20% dopo il 2008 e ora con una nuova recessione alle porte tornerà a scendere. Nel caso dell' Italia dietro il crollo della produzione ci sono i quasi 4 punti percentuali di Pil di maggiori tasse da allora, che sono almeno 60 miliardi e i 150 miliardi di credito tagliato dalle banche. Parliamo di una cifra intorno ai 200 miliardi che è stata tolta alle famiglie e alle imprese. Si dirà che questi soldi sono stati tolti perché eravamo indebitati, ma tutto il mondo lo era nel 2008, soprattutto come debito privato. Come scrive Hans Werner Sinn sulla Frankfurter Allgemeine Zeitung : «La politica europea durante la crisi non si è fondata sulle riforme strutturali dell' eurosistema, ma sui salvataggi finanziari... Sono state salvate in primo luogo le banche e gli investitori francesi, tedeschi e degli altri paesi. I salvataggi sono iniziati con gli scoperti di conto sui saldi Target... poi è arrivato il "Securities Markets Program" della Bce dall' estate del 2011... nel 2012 è arrivata la promessa da parte del presidente della Bce Mario Draghi ("Whatever it takes")... nel 2015 poi è arrivato il programma di "quantitative easing" con cui si sono comprati titoli di Stato dei paesi euro per 2.100 miliardi, dei quali il 17% è attribuibile al riacquisto di titoli italiani da parte di Bankitalia...». Il 17% di 2.100 miliardi sono 360 miliardi, quindi Bankitalia negli ultimi anni ha creato su mandato della Bce una cifra enorme, 360 miliardi. Questo passa quasi inosservato perché avviene nei mercati finanziari, ma è la "creazione di denaro" moderna, fatta con il computer delle Banche Centrali. Nel frattempo il governo suda per trovare 8 miliardi, ce ne rendiamo conto? Le soluzioni ci sarebbero e le abbiamo già proposte. Inutile ora ripeterle. Sarebbero anche nel contratto di governo. I minibot sono stati persino visti come una opzione efficace da un noto esperto di economia e finanza come Wolfgang Münchau. Ma altre ora sembrano le priorità del governo. Le ruspe in casa Casamonica, come la lotta alla corruzione, possono certo aiutare a mantenere alto il consenso, ma al Nord produttivo del Paese interessano poco. di Paolo Becchi e Giovanni Zibordi