Tramonto precoce
Luigi Di Maio, il sondaggio che affossa il M5s: chi comanda davvero nel governo
E se Luigi Di Maio non contasse più niente? I numeri dicono che il capo politico dei Cinque stelle, nonché ministro del Lavoro e dello Sviluppo, e sopra tutto vice premier in condominio con Matteo Salvini accanto al presidente del Consiglio più inoffensivo a memoria d' uomo, vale appena il 10 per cento dentro il governo gialloverde. Un sondaggio spietato e veritiero, confezionato da EMG Acqua per Agorà (Raitre), conferma che l' uomo forte dell' esecutivo è Salvini, con una percentuale stellare (63 per cento) e in continua crescita. Il resto della torta se lo dividono i figuranti che cercano di stargli dietro. Fra costoro c' è appunto Di Maio, con un macilento bottino e una robusta torma di fantasmi da affrontare: la sopraggiunta impopolarità della sua persona, la lentezza del suo carrozzone ministeriale, la litigiosità del suo MoVimento e l' impazzimento generale nei rapporti politici con l' alleato leghista. Leggi anche: Salvini, il sondaggio impensabile. Colpo storico, quale regione si prende Vista da lontano, la debolezza del grillino può essere scambiata per un problema di congiuntura, uno slittamento fisiologico dovuto alla sovraesposizione mediatica del concorrente sovranista e alla congenita complessità dei dicasteri che Di Maio medesimo ha avocato a sé. Vestire dal Viminale i panni del questurino per sgomberare un campo nomadi, abbattere a colpi di ruspa le ville dei Casamonica, chiudere i porti alle navi stipate di migranti e prosciugare il lago limaccioso delle Ong corrive con i traffici degli scafisti: sono privilegi gratuiti e assai redditizi. Aggiungici un sistema scientifico di comunicazione social, la solita corsetta digestiva serale in divisa da poliziotto, una certa dose di sprezzatura attoriale da anni Trenta, ed ecco spiegato il breve ma intenso capolavoro mediatico salviniano. Tutto ciò è negato a Di Maio dalla sua natura di eccellente gregario rampicante (da quelle parti il corpo da maschio alfa è di Beppe Grillo, animato dal verbo della Casaleggio e Associati). Se fosse soltanto questo il problema, non sarebbe inaggirabile. Quando una ledaership entra in sofferenza, di solito la struttura supplisce e la massa critica aderisce compatta a uno schema, un piano B, una procedura d' emergenza. Il guaio è che questa modalità non è prevista dall' algoritmo del potere grillino ovvero il sistema si è inceppato. Crepe e smagliature - In effetti, via via che l' inquadratura si stringe sul volto istituzionale dei pentastellati e sul corpaccione appesantito che Di Maio si trova ad amministrare, crepe e smagliature tendono a ingigantirsi rivelando i solchi di una senescenza inattesa. I Cinque stelle sono invecchiati anzitempo e il loro elettorato ne sta prendendo atto con insofferenza. Le caratteristiche di questo processo degenerativo consistono nell' instabilità di giudizio, nelle oscillazioni repentine, nell' incontinenza verbale e nella perdita del controllo sul proprio organismo. Partiamo dall' ultimo sintomo: i recenti capitomboli parlamentari sui decreti sicurezza e anticorruzione, con l' immancabile e sgangherato corredo di queruli dissidenti, segnala che la presa sui gruppi alla Camera e al Senato si è allentata almeno quanto il controllo su alcuni ministri, diciamo così, particolarmente sensibili. Il più problematico dei quali è Danilo Toninelli, il titolare delle Infrastrutture che nel luglio scorso ha ingaggiato una battaglia velleitaria contro Autostrade dopo il crollo del ponte Morandi a Genova, e adesso - a distanza di quasi cinque mesi - sconta un formidabile contraccolpo dovuto all' immobilismo e alla mancanza di risultati punitivi sulle concessioni autostradali così come di lavori apprezzabili per la demolizione e la successiva ricostruzione del ponte crollato. In poche parole: una figuraccia che si riverbera fosca sull' immagine del ministro Di Maio. A modo suo ha ragione il grillino Riccardo Fraccaro, ministro dei Rapporti con il Parlamento, quando ammette di far parte d' una masnada di "pivelli" finiti nelle mani dei più navigati lupi di mare leghisti. I calcoli del Carroccio - Devono pensarla allo stesso modo gli italiani che avevano votato 5 Stelle in omaggio alle promesse stentoree di sbarrare il passo alla Tap salentina, al Terzo valico ligure, al Tav piemontese, al Muos siciliano, allo sfruttamento dei riders e alla gig economy più in generale, allo sversamento dei fanghi industriali e ai tentativi di salvaguardare i residui giuridici intonati al garantismo ancora presenti nei nostri codici. Ebbene, e direi per fortuna in molti casi, sulla quasi totalità di questi dossier Di Maio e i suoi hanno presto esibito spericolati testacoda o ancor più clamorosi silenzi («comincerò dal tavolo sui riders», aveva promesso il debuttante ministro dei tavoli impossibili). In una situazione del genere, al netto delle montagne russe finanziarie, l' erculeo Salvini non ha interesse a strozzare l' alleanza di governo. Meglio assistere voluttuosamente all' inabissarsi della popolarità del gemello Di Maio, che annaspa in uno stagno troppo profondo rispetto alla sua statura. Per comandare bene e contare parecchio, e non soltanto nei sondaggi, bisogna obbedire al buon senso. Ci sarà tempo per rimediare? di Alessandro Giuli