politica
Berlusconi, Salvini e lo scoglio M5S
Roma, 27 apr. (AdnKronos) - In Friuli Venezia Giulia per chiudere la campagna elettorale, Matteo Salvini e Silvio Berlusconi 'fanno squadra' per ribadire l'unità del centrodestra, smentire le voci di uno strappo della Lega subito dopo il voto regionale e stroncare ogni tipo di appeasement governativo tra M5S e Pd. Ma tornano a dividersi sul 'forno aperto' con i Cinque stelle e sul ritorno alle urne in caso di fallimento del tentativo di approdare a Palazzo Chigi. "Dicono che lascerò Berlusconi? Non è vero che accadrà, non vedo perché dovrei cambiare idea ogni quarto d'ora, non faccio mica come Renzi e Di Maio", assicura il leader leghista. Sulla stessa linea il Cav: "E' sicuro che Matteo non strapperà e resterà nella coalizione", si tratta solo di "menzogne e storie inventate dai nostri nemici". Escluse rotture e divorzi, però, si ripropongono con forza le differenze tra i due leader sulla strategia per governare e la scelta dei partner. Tanto che Salvini e Berlusconi, entrambi in Friuli Venezia Giulia per la chiusura della campagna elettorale, stanno attenti a non accavallare le due agende, correndo in parallelo senza incrociarsi mai. Il dialogo tra alleati, infatti, si interrompe sul confronto con Luigi Di Maio: Salvini confida ancora in un accordo con i grillini senza voler rompere con Fi, mentre il presidente azzurro non ci pensa proprio e tiene il punto: "Non si può andare con i Cinque stelle: quello del populismo italiano è un pericolo che incombe sull'Italia e anche sugli altri Paesi Ue. Non è vero che Matteo vuole tenere ancora aperto il forno con M5S". Insomma, siamo punto e a capo. Lo 'scoglio Di Maio' sembra insuperabile. Dalle parti di via Bellerio resta forte il sospetto che il Cav voglia sistematicamente sabotare ogni tentativo di confronto tra Salvini e Di Maio. E ogni occasione, secondo fonti leghiste, è buona per minare quest'asse: dallo show al Quirinale (con tanto di appello a non fidarsi dei Cinque stelle che "non conoscono l'Abc della democrazia") all'accostamento dei grillini a Hitler, fino all'uscita di oggi: "L'Europa si augura che ci sia un argine a M5S e al movimento populista italiano". I sospetti risalgono al mandato esplorativo dell'azzurra Casellati, accusata di aver ostacolato la trattativa con i Cinque stelle su input di Fi. Raccontano che pur di uccidere sul nascere qualsiasi entente cordiale M5S-Lega, Berlusconi abbia tirato fuori dal cilindro la 'carta Emiliano'. Nel pieno delle consultazioni della Casellati, al secondo giro, poco prima di entrare nell'ufficio della presidente del Senato a palazzo Giustiniani, il presidente di Fi avrebbe provato a convincere Salvini a mollare Di Maio, perché era pronto un patto con Michele Emiliano, la sinistra Pd e Leu, che sarebbero stati disposti ad appoggiare un governo di minoranza a trazione centrodestra. Del resto, il leader azzurro ha sempre avuto buoni rapporti con il governatore pugliese: tifò per lui quando sfidò Matteo Renzi candidandosi alla segreteria del Pd. Ma l'empatia tra i due risale a una data precisa, il 13 aprile 2013, quando l'allora sindaco di Bari, in occasione di un comizio elettorale del presidente azzurro nella sua città, accolse l'ex premier con uno striscione 'Caro Silvio, bentornato a Bari'. Ad Arcore smentiscono questa ricostruzione su un soccorso della sinistra Dem, ma la strategia di Berlusconi è chiaramente volta a boicottare accordi che abbiano come protagonisti Di Maio e Salvini e lo taglino fuori dalle partite che contano: a cominciare da quella governativa. In tanti vedono dietro questa linea politica lo zampino dei suoi consiglieri storici, Gianni Letta e Fedele Confalonieri, sin dal primo momento contrari a cedere sovranità alla Lega salviniana e a stringere intese governative con i grillini, anche con un appoggio esterno di Fi. L'unità del centrodestra, insomma, resta solo apparente. Il presidente azzurro e il leader della Lega continuano a pensarla diversamente anche sull'exit strategy e il ricorso alle urne. Salvini boccia senza riserve un 'governo di minoranza' e un 'governo del presidente'. "Se non è possibile" fare un esecutivo giallo-verde, avverte, bisogna "tornare alle urne il prima possibile, anche entro l'estate", perché "non sta scritto né in cielo né in terra che si debba arrivare a ottobre". Berlusconi, invece, non vuol sentir parlare di nuove elezioni ("il quadro politico non cambierebbe") e confida in un governissimo con tutti dentro, compreso il Pd: "Mi affido al buon senso del nostro presidente della Repubblica e credo che la cosa più logica sia ritornare del centrodestra e consentirgli di presentarsi in Parlamento per cercare i voti".