Slittano le consultazioni

Camera e Senato, deputati e senatori appena eletti e già stanchi: gli onorevoli si allungano le ferie

Giulio Bucchi

Come gli affaticati attori di pochade nell' attesa del cambio di scena, i nostri indomiti politici sentono già il bisogno di una pausa. Le pause di riflessione -dicevano gli antichi Dc- sono il respiro della democrazia. Sicché, i parlamentari prima hanno baccagliato per le nomine di vicepresidenti di Camera e questori; e poi, pure se per il fibrillare delle crisi avrebbero dovuto iniziare le consultazioni al Quirinale il lunedì di Pasquetta -giusto nel trigesimo delle elezioni-, hanno ben pensato di farle slittare dolcemente al mercoledì successivo, il 4 aprile. Stavolta la decisione, unanime, s' è rivelata un raro esercizio di democrazia. Il ragionamento di deputati e senatori, cioè di chi storicamente (secondo un' inchiesta della Stampa e non solo) è abituato a lavorare pesantemente dal martedì al giovedì mattina, non fa una grinza: sì d' accordo c' è l' urgenza. Però, siccome in Spagna, Belgio e Germania hanno vissuto egregiamente a governo latitante per molto più tempo; e siccome, tanto, prima della terza consultazione Mattarella non ricaverà un ragno dal buco; be', tanto vale prendersela comoda. Le consultazioni si chiuderanno giovedì, al massimo venerdì mattina. Altra pausetta; e arriviamo, tomo tomo cacchio cacchio, a martedì 10. E qui i rappresentati del popolo, dediti all' arte di procrastinare le decisioni, saranno purtroppo costretti a darsi una mossa. Perché da Bruxelles ci ricordano che, per legge, entro quella data, dev' essere deliberato il Def, e presentato ai due rami del Parlamento. Il Def, Documento di economia e finanza, è il libro del destino dei nostri conti pubblici. In questo caso, col premier Gentiloni dimissionario, fotograferebbe la nostra programmazione economica su scenari futuri degni di Asimov, e la invierebbe entro il 30 aprile al vaglio della Commissione Europea. Praticamente, trattasi dei nostri soldi e delle nostre coperture per la prossima Legge di Bilancio (servono almeno 20 miliardi, considerandone almeno 12 accantonati per disinnescare l' aumento dell' Iva). Il Def è una cosa seria: è il tema su cui si schianta ogni mirabile promessa elettorale. Ed è anche il vero snodo delle future alleanze, al di là dei fantastici retroscena con cui finora abbiamo ingolfato i giornali. Il nodo Def - Proprio nel Def, discusso in una commissione speciale, si vedrà se l' intesa tra Movimento Cinque Stelle e Lega troverà una sua densità. I due partiti, qui, -secondo fonti interne- potrebbero sostanziare un accordo di non belligeranza col gioco delle «astensioni incrociate»: cioè i pentastellati non voteranno contro la risoluzione della Lega, e viceversa. Nessuno dei due sosterrà l' altro, ma nemmeno si scontreranno. Una roba dallo straordinario - e, in questo caso, finanche apprezzabile- sapore doroteo. Salvini e Di Maio fingeranno, magari, di guardarsi in cagnesco, ma promuoveranno generici «tagli delle tasse» senza insistere sulla Flat tax; o su «aiuti ai giovani disoccupati» senza insistere sul reddito di cittadinanza. Accenneranno, forse, al superamento della legge Fornero, che è un cavallo di battaglia di Salvini ma è un toccasana anche per il sud di Di Maio. Si dimenticheranno, probabilmente, di parlare dello sforamento dei vincoli di bilancio, del mitico 3% del rapporto deficit-pil, anche perché il deficit è onestamente la prima macchia che si nota sull' abito bianco dei conti pubblici. Dopodiché, onorando la «centralità del Parlamento», Lega e M5S potrebbero pure convergere sulla costituzione delle commissioni parlamentari anche prima della nascita del governo; tecnicamente è già stato fatto e si può fare, anche se la prassi non lo prevede. E scardinare la prassi -ammettiamolo- è lo sport preferito da due partiti che sono visti come «antisistema», ma che del sistema hanno oramai imparato a conoscere gli anfratti più nascosti. E, per l' appunto, l' attivismo delle commissioni nella palude stigia delle trattative di governo -come è già accaduto nel Bundestag tedesco- potrebbe davvero tracciare il solco di un governo comune all' insegna del programma. I vitalizi - Di Maio e Salvini, hanno dimostrato di non difettare di strategia. E pare che il loro apparente gioco al massacro sia in realtà un acuto gioco di scacchi. Molti politici e commentatori, per esempio, in questi giorni hanno cannoneggiato sulla mancanza di democrazia dei pentastellati i quali, fottendosene del fair play, hanno voluto accaparrarsi ben 6 componenti dell' ufficio di presidenza della Camera su 15, più il presidente Fico. Pochi hanno intuito che avendo la maggioranza assoluta nel cuore di Montecitorio sarà facilissimo per i grillini abolire i vitalizi e sventolare ai propri elettori la prima, ruvida vittoria... di Francesco Specchia