A urne ancora aperte...

Elezioni 4 marzo, dopo il voto sarà il caos: si rischia di restare fermi per mesi

Andrea Tempestini

E adesso? Che succede dalle 23 di stasera? Succede che ci armiamo di santa pazienza e aspettiamo. Sarà lunga. Il sistema con cui si vota e i bizantinismi della nostra prassi costituzionale sono quanto di più lontano ci possa essere dalla nobile idea per cui la sera delle elezioni si conosce il nome di chi governerà. Ci vorrà almeno un giorno dalla chiusura dei seggi per conoscere i numeri definitivi del nuovo parlamento. E, salvo una imprevista vittoria a valanga da parte di qualcuno, serviranno settimane, forse mesi per sapere chi andrà a palazzo Chigi e con quale coalizione. È il risultato di tanti fattori, il primo dei quali è il Rosatellum. Un sistema nuovo, che non garantisce la formazione di una maggioranza (anzi) ed è complicato non solo per chi vota, ma anche per chi deve scrutinare le schede. Leggi anche: Vittorio Feltri: "Vi spiego perché ho scelto il centrodestra" Ieri il ministero dell’Interno ha diffuso una nota il cui succo è che il rischio che ci siano ritardi nelle operazioni è molto elevato. Si inizierà subito dopo la chiusura dei seggi. Dapprima si dovrebbero sapere i nomi dei 116 senatori e 232 deputati eletti nei collegi uninominali. Operazione che in teoria è facile, ma in pratica può rivelarsi lunga, specie al Sud, come insegna l’esperienza. A PASSO DI LUMACA Quindi si capirà quali liste hanno superato le due soglie di sbarramento, quella dell’1% (non si entra in parlamento e i voti non vanno alla coalizione) e quella del 3% (nessun eletto, ma la coalizione incassa i voti). Solo quando tutte le 61.000 sezioni in cui è divisa l’Italia avranno terminato il loro lavoro sarà possibile determinare la «cifra nazionale» in base alla quale si calcoleranno gli eletti di ogni partito. L’intero procedimento, insomma, è un convoglio che viaggia alla velocità del veicolo più lento. A complicare il tutto, le prevedibili contestazioni: il nuovo sistema vieta infatti sia il voto disgiunto (una croce sul candidato e un’altra su un partito che non lo appoggia), sia scrivere sulla scheda il nome dei candidati. Ma non tutti gli elettori lo sanno. E questo è solo l’inizio. Logica vorrebbe che le consultazioni per capire chi può essere il nuovo premier e quale la maggioranza che lo appoggia iniziassero subito: ci sono i leader di partito, che decidono per tutti e si parlano tra loro. Invece no, il rituale è basato sugli incarichi parlamentari. Cioè su figure i cui nomi si sapranno solo tra diverse settimane. Si inizierà con l’elezione dei presidenti delle due Camere. Per quello del Senato è facile, perché lì il regolamento prevede il ballottaggio alla quarta votazione. IL RUOLO DEL COLLE Ma a Montecitorio promette di essere più lunga: prima serviranno i due terzi dei deputati, quindi basterà la maggioranza assoluta. E finché questa non ci sarà si andrà avanti a oltranza. Anche i gruppi parlamentari dovranno eleggere i loro presidenti. E saranno costoro, dopo i presidenti delle Camere e l’ex capo dello Stato Giorgio Napolitano, a salire sul Colle, iniziando da quelli dei gruppi più piccoli. Solo quando questa fase si sarà conclusa - e con ogni probabilità saremo già agli inizi di aprile - Sergio Mattarella potrà tirare le somme e vedere se c’è una persona alla quale affidare un semplice mandato esplorativo, nel caso in cui il caos permanga, o un incarico pieno, se dai colloqui sarà emersa una figura in grado di guidare una squadra che abbia la maggioranza in ambedue i rami del Parlamento. Operazione che si prospetta complicatissima nel caso in cui le Camere siano ingovernabili come suggeriscono le indicazioni della vigilia. Intanto l’esecutivo di Paolo Gentiloni continuerà a portare avanti gli affari correnti e dietro le quinte della diciottesima legislatura sarà iniziato un grande mercato delle vacche, con offerte irriferibili e allettanti da parte di chi vorrà dimostrare al capo dello Stato di avere i numeri per guidare il Paese. di Fausto Carioti