Tradimenti

Sandro Bondi uccide il papà Silvio Berlusconi: ecco perché lo ha fatto

Andrea Tempestini

Le sparizioni dalla vita pubblica sono qualcosa di molto privato, di personale, ciascuno sceglie come giocarsele nella gran tragicommedia dell’esistenza. Sandro Bondi in Repetti (dal cognome della compagna di vita e di peripezie politiche) ci sta infliggendo la sua sparizione da ormai cinque anni, da quando ha troncato di netto il legame col fenomeno di cui fu uno dei cantori più attrezzati e disinibiti, il berlusconismo. Non è mai stato così esposto, intervistato, coccolato dal Giornalista Collettivo, il buon Bondi, come da quando ha deciso di accollarsi fino in fondo una precisa parte in commedia. L’apologeta esausto, lo scudiero disilluso, l’amante tradito. Confessò già a Repubblica che il Cavaliere «è come il conte Ugolino che nella Divina Commedia divora il cranio dei suoi figli». Fate attenzione ai codici, che per qualcuno formato alla scuola comunista come lo fu l’ex sindaco di Fivizzano per il Pci Sandro Bondi sono tutto: consegnò la propria abiura di (ex) iperberlusconiano a Repubblica, organo dell’antiberlusconismo borghese e à la page. Leggi anche: Bondi e moglie umiliati: fuori da tutto NEMESI DEFINITIVA  Ebbene, ieri l’ex deputato, senatore, ministro, coordinatore forzista e perfino coinquilino di Arcore (pare addetto allo smistamento della corrispondenza privata, in particolare quella delle ammiratrici interessate) ha fatto di meglio, ha marcato un’altra stazione del proprio calvario mediatico. Ha infatti preso a pugni il proprio passato di guardiacaccia intellettuale del Re sulle colonne del giornale che è nato dichiarando come obiettivo sociale l’abbattimento della monarchia berlusconiana, il Fatto quotidiano. È la nemesi definitiva, siamo ben oltre la categoria mondana e banalotta di tradimento, siamo alla lacerazione della coscienza e al dissolvimento dell’Io, qualcosa che dovrebbe scomodare Kafka o Pirandello, più che i cronisti politici. Non essendo evidentemente il nostro caso, ci affidiamo alle sue stesse parole, intermediate da Antonello Caporale, uno dei tanti sacerdoti(ni) di quella religione laica che è stata per lungo tempo l’antiberlusconismo: «Provo vergogna per quello che ho fatto». Aderire a un progetto politico e successivamente prenderne le distanze, qualcosa si legittimo e quasi quotidiano alle nostre latitudini? No, molto peggio, si fustiga l’uomo Bondi davanti al Caporale compiaciuto: «Sono stato un cortigiano. Quando ho avuto il potere l’ho esercitato nel modo che oggi dico peggiore». E perché? Perché l’ex studente di filosofia, l’ex militante attivissimo della FGCI, l’ex assicuratore Unipol, si è «fidato di un convincimento». Il seguente: «Lui è una persona per bene». Ovviamente lui, che per anni Sandro Bondi non solo ha scritto, ma ha pensato in miauscolo, è Lui, Silvio Berlusconi. L’ALTRO EMILIO Tutto l’impegno pubblico di un uomo, tutta il suo progressivo trascoloramento in personaggio e infine in maschera, l’aedo ferocemente gentile dell’epopea arcoriana, qualcosa come un Emilio Fede più a suo agio coi sonetti di Leopardi che con le notizie urlate (e non a caso al Cav dedicò persino componimenti poetici), era legato a questo, alla cotta personale? Evidentemente sì, e neanche l’accetta giacobina del Fatto riesce a tagliare del tutto questa complesso affettivo, chiaramente un Edipo rimasto allo stadio adolescenziale: «Pensavo che mi volesse bene, ed era questo il modo per riconoscergli l’affetto e dunque restituirlo. Berlusconi copriva per me la figura di un padre». Se è così, mai parricidio fu più lungo e strillato in prima pagina. di Giovanni Sallusti