Il vecchio che avanza

Renato Farina, non c' è più scampo Prodi torna in campo

Giovanni Ruggiero

Sta con Renzi. Dopo i fulmini e le saette che da ogni parte sono piovute in testa al Fiorentino, per aver plasmato liste a sua immagine e somiglianza, il Bolognese se lo è caricato sulle spalle. Per ricavarne qualcosa di pratico? Ma no, c' è poca trippa da quelle parti. Un governo di larghe intese, ben che vada, nessuno lo immagina capeggiato dal due volte ex premier dell' Ulivo. L' ha fatto perché è il suo destino. Non si resiste alla propria natura. Proprio così. Non c' è scampo, Prodi è rientrato in campo. La rima non è precisamente all' altezza di Leopardi, ma ai nostri tempi non è che si voli tra le aquile. È una questione di legge della nostra storia recente, cui l' umanità italica non riesce o non vuole sottrarsi. È la trama degli ultimi venticinque anni, o forse anche di più. Diciamo trentadue-trentatré. Da quando cioè da presidente dell' Iri, il professore democristiano cedette la Sme, con i suoi pelati Cirio, alla Buitoni di De Benedetti invece che a Berlusconi e Barilla, che pure offrivano di più. Da allora è guerra. E la guerra si fa in due. Perciò ci tocca ricominciare. Leggi anche: Travaglio, l a crisi di nervi davanti a Prodi: come lo prende a schiaffi Prodi insomma è il gemello di sinistra di Berlusconi. Se c' è Silvio bisogna star certi che Romano segue. Stavolta a farlo decidere di saltare di nuovo sull' altalena parallela a quella del Cavaliere, anche se dondolante dall' altra parte, è stata un' offesa inflittagli dal suo altrettanto immortale rivale di Arcore. Nulla di diretto, nessun insulto. C' è però qualcosa di peggio dell' attacco personale, ed è la trascuratezza del nemico, il pensarlo morto, e girarsi verso quello che si ritiene il vero capo della brigata ostile. Il capo di Forza Italia, dopo che Eugenio Scalfari aveva solennemente dichiarato «meglio Berlusconi di Di Maio», si sentì invadere dalla magnanimità. Alzò il telefono e chiamò Carlo De Benedetti, dopo dieci anni di silenzio reciproco, convinto che il fondatore di Repubblica esprimesse il pensiero del suo (ex) editore. Il Cavaliere trattò l' Ingegnere, secondo quanto riferito da quest' ultimo, come il suo unico e vero avversario di sempre, il solo del proprio livello, e dunque il solo idoneo per farci pace. L' uno a destra l' altro a sinistra, ma speculari per grana e personalità. Gli sussurrò perciò accomodante: «Non ci sono più i comunisti, è finita la guerra». De Benedetti, che considerava invece l' uscita di Scalfari «una stupidaggine», respinse la proposta di resa con onore, sibilando «che non c' era niente da dirci». Respinse con supponenza il ramoscello d' ulivo. A proposito di ulivo, Prodi che ne ha il copyright si dev' essere inalberato. Ha vissuto tutto ciò come un' onta. «Con tutto quello che ho fatto contro di te», ha pensato il vendicativo bolognese, che per carattere è più propenso alle manovre di Richelieu che alla paciosità di un prevosto come pure la sua voce tenderebbe a far credere, «invece di cercare tregua con me, te la intendi con De Benedetti? Stai fresco». BENEDETTO MATTEO Questo spiega la recente mossa del Professore, la cui chioma si è nel frattempo leggermente incipriata, ma resta folta, con rabbia di chi avete capito. Ha benedetto Matteo Renzi e scomunicato i vecchi comunisti, da Massimo D' Alema a Pierluigi Bersani, oltre che Pietro Grasso, tal Fratoianni, Civati e comunque tutta la compagnia arrivata da Rifondazione comunista e dai dalemiani. È stato lapidario: «Liberi e Uguali non è per l' unità del centrosinistra. Punto». Invece Matteo Renzi sì? «Renzi, il gruppo che gli sta attorno, il Pd e chi ha fatto gli accordi con il Pd sono per l' unità del centrosinistra». Invece Grasso, D' Alema e Bersani no? «In questo momento non sono per l' unità del Centrosinistra. Punto». Affaritaliani.it ha registrato queste parole con una certa emozione. Quando Prodi dice punto, non è punto e virgola. Non si muove da lì. Mena. E comanda. Pier Ferdinando Casini si è sentito a sua volta investito dalla benedizione del Professore. «È un amico», ha incassato. Ovvio. Dalle parti di Lue o Leu, la sigla e nuova e ci si confonde, si è assorbito malissimo il colpo. E allora tutti a dire che la colpa della scissione e della mancata coalizione era solo di Renzi, e che Prodi non era bene informato. Balle. È informatissimo. E con alcuni principi catto-machiavellici in testa. Non ha mai aiutato un piccolo partito. Prima stava con la Democrazia cristiana. Poi quando si è martinazzolizzata e poi frammentata, non è diventato il leader di un cespuglio, ma ha impastato il suo cattocomunismo direttamente con gli ex comunisti, capeggiando l' alleanza due volte, e due volte vincendo. Sbagliò Berlusconi a ritenerlo un prestanome, mero esecutore di De Benedetti e/o D' Alema. Prodi è Prodi. Torna sempre. E non sbaglia mai il cavallo. Evita i poni. Predilige la razza shire, i war horses. Se c' è già qualcuno sulla sella, ci balza sopra lo stesso, convinto che l' intelligente bestia asseconderà lui. TREMENDA VENDETTA E Prodi sceglie i tempi e i modi dei suoi ritorni in campo con la cura meticolosa dei sicari rinascimentali della Curia romana dalla memoria inflessibile. Chi lo fece cadere nel 1998? Rifondazione. Chi poi lo giubilò mandandolo a purgarsi in Europa? D' Alema. E nel 2013 chi impedì la sua elezione a capo dello Stato? Crudelio D' Alema con i suoi 101 dalmata. Li vuole morti. Renzi non c' era ancora. Ora se lo trova accanto. Matteo ha dato un segno di enorme riguardo a Prodi, salvandogli l' antica portavoce, non proprio simpatizzante del Giglio, Sandra Zampa, e dando importanza, al di là di ogni (scarso) merito al curatore degli affari di Romano in Europa, e affossatore della candidatura di Milano per l' Ema, Sandro Gozi. Bravo e abile, Renzi. Vedremo chi dei due comanderà e a chi obbedirà il cavallo. Se fossimo in Matteo, staremmo attenti se ci offre una mela. di Romano Prodi