Il leader della Lega

Matteo Salvini non si fida di Silvio Berlusconi: "Patto di fronte al notaio oppure salta l'alleanza"

Eliana Giusto

Dentro al centrodestra siamo al contratto prematrimoniale, come si usa tra le star di Hollywood, dove in genere le unioni durano poco. Matteo Salvini, che i sondaggi danno dietro all'alleato-rivale, non si fida di Silvio Berlusconi e vuole convincere gli elettori di essere lui a dettare le condizioni all'altro. Così, davanti alle telecamere della trasmissione di Rai Tre Mezz'ora in più, ieri il leader del Carroccio ha provato a riprendere in mano l'iniziativa: "Spero che Berlusconi sia disponibile a firmare un contratto. Il centrodestra può arrivare al 50% e chiedo che ci sia un programma comune". E se Berlusconi non firma? Risposta perentoria: "Non c'è alleanza". Leggi anche: Feltri stoppa Salvini: ti spiego perché sto dalla parte di Berlusconi Salvini sembra avere le idee chiare anche riguardo ai contenuti dell'intesa: "Il governo di cui farò parte deve impegnarsi a cancellare la legge Fornero e la riforma della buona scuola e a ridiscutere tutti i vincoli europei". Sull'abrogazione della riforma che ha previsto l' innalzamento automatico dell' età pensionabile, in particolare, «non c' è trattativa possibile». Il capo della Lega assicura che non è sua intenzione sfasciare l' alleanza: «Noi teniamo all' unità del centrodestra, però voglio che i patti siano chiari». Di certo mostra scarso entusiasmo all' idea di fare un vertice con Berlusconi: «Ci incontreremo per gli auguri di Natale, come buona educazione...». In serata, a Verona, il leader delle camicie verdi ha ribadito anche quali, secondo lui, dovrebbero essere i confini dell' alleanza: «Il modello veneto è quello che noi proponiamo agli alleati a livello nazionale. Con Berlusconi, con Forza Italia, non certo con quelli che hanno sostenuto Renzi e il Pd fino a ieri». Oltreconfine, non è un mistero che l' ultima fonte d' ispirazione sia il neonato governo austriaco, controllato dal partito della Libertà: «Heinz-Christian Strache non è assolutamente estremista. Se controllare i confini è estremista, allora lo sono anche io».  La richiesta di un accordo scritto convince esponenti della Lega vicini al Cavaliere, come il governatore lombardo Roberto Maroni: «Lo dico per esperienza. Nel 1994, nella coalizione con Lega e Forza Italia, Alleanza Nazionale si schierò contro di noi. Vincemmo le elezioni, ma non c' era condivisione sulle cose da fare e il governo durò otto mesi».  Un patto anti-tradimento, insomma, dietro al quale non è difficile vedere il timore dei leghisti che, il giorno dopo il voto e con un parlamento ingovernabile, in nome dell'«interesse nazionale» Berlusconi finisca per sedersi al tavolo con il Partito democratico. È lo stesso fondatore di Forza Italia ad avvalorare tali paure, quando afferma - come ha fatto l' altro giorno - che in un simile caso «la soluzione più corretta sarebbe quella di continuare con il governo attuale», dunque con Paolo Gentiloni. E la stima che Fedele Confalonieri continua a mostrare per Matteo Renzi («Non si può negare che qualcosa di buono lo abbia fatto...») non contribuisce certo ad alleviare le diffidenze. Dal Cavaliere non è arrivata alcuna reazione alle condizioni poste da Salvini. «La miglior risposta è il silenzio e soprattutto il trend che dà Forza Italia in continua crescita, oltre il 17%», è l' unica frase che filtra dal suo entourage. Replica indiretta arriva dall' ex presidente del Senato Renato Schifani, tornato da tempo con gli azzurri dopo essere stato nel partito di Angelino Alfano: «La maggioranza degli elettori di centrodestra è di matrice moderata, Salvini se ne faccia una ragione». Si tira fuori dalla querelle il governatore della Liguria Giovanni Toti, forzista vicino alla Lega: «L' importante», sostiene, «è che sia un patto chiaro, scritto o no è poco importante». Per una volta, però, lui e Salvini sembrano pensarla in modo diverso. di Stefano Re