Rapporti di forza
Pdl, la mappa del nuovo potere
C’è uno schemino che alcuni parlamentari Pdl si giravano tra le mani, ieri in Transatlantico. Niente di definitivo, sia chiaro, ma una prima bozza sui nuovi assetti del partito a livello regionale. L’ipotesi del congresso si allontana, se è vero che lo stesso Silvio Berlusconi lo ha bocciato temendo, appunto, che si trasformasse in una lotta intestina tra fazioni un tempo a lui tutte fedeli. Però lo schemino può sempre tornare utile in un futuro non troppo lontano, perché rappresenta lo scacchiere dei nuovi equilibri interni al centrodestra: fino a qualche mese fa erano tutti del Pdl, indistintamente. Adesso ci sono i forzisti, o meglio: i lealisti schierati con il leader Silvio Berlusconi e i «dissidenti», che in realtà non vogliono essere chiamati così perché assicurano che loro non vanno da nessuna parte, ma sono gli altri a dissentire sulla linea originaria del Pdl. Dunque lealisti versus alfaniani, o anche azzurri opposti a filo-governativi. In breve: falchi e colombe. E alla fine, chi ha davvero i voti sul territorio? Posto che tutti si dicono assolutamente vicini al Cav, e a sentirli uno per uno rifiutano ogni divisione, il partito degli azzurri duri e puri conta su roccaforti di peso: Veneto, Trentino, Toscana, Campania, Puglia, Marche. Ma anche mezza Sicilia e poi una fetta importante di Lombardia e Piemonte, buona parte del Lazio, un po’ di Sicilia e di Sardegna, l’Umbria. Ma andiamo con ordine. Nel Veneto non c’è storia: la patria dei super falchi Niccolò Ghedini e Giancarlo Galan è tutta schierata in Forza Italia. Tutta con Silvio e contro il governo delle tasse. Nella regione c’è anche il capogruppo alla Camera, Renato Brunetta, che, guarda caso, le colombe vorrebbero silurare perché considerato troppo acceso nei suoi interventi contro il governo. Altri falchi sono la senatrice Elisabetta Alberti Casellati (che si è battuta in Giunta per salvare Silvio), e insomma, a cominciare dall’avvocato di fiducia dell’ex premier, attorno alla Laguna volano di sicuro più falchi che colombe. Situazione particolarissima quella della Lombardia, quartier generale del Cav: lui, in quanto a bottino di preferenze, non ha rivali. Però va forte anche l’ala cattolica di provenienza ciellina rappresentata dal partito delle colombe di Maurizio Lupi (attuale ministro delle Infrastrutture), dell’ex governatore lombardo Roberto Formigoni, tra i primi ad insistere per la creazione di gruppi autonomi del Pdl a Camera e Senato, nonché del montiano ex azzurro Mario Mauro (anche lui nella squadra ministeriale di Letta, titolare della Difesa). Ma proprio perché Berlusconi nella sua terra detta ancora legge, non sono da trascurare i seguiti di Maria Stella Gelmini e Mario Mantovani, attuale coordinatore e vicepresidente della Regione, con il senatore Paolo Romani, già ministro con Berlusconi, oggi impegnato nel delicato ruolo di pontiere tra le due anime del partito. Già, perché qui c’è anche la pitonessa Daniela Santanché, candidata capolista in Lombardia3 e non si può dire che non sia conosciuta. La Lombardia è centralissima come il Lazio, altro territorio dove le colombe dicono di essere in maggioranza. Ci sono Fabrizio Cicchitto, Andrea Augello, Beatrice Lorenzin contrari a estremismi e falchismi. Però nella Capitale ci sono anche i lealisti Maurizio Gasparri, Renata Polverini (che ha mandato a dire al segretario Alfano: se vince la tua linea andiamo via), Daniele Capezzone, Antonio Martino, nonché le “falcombe” alla Francesco Giro, che lavorano, dalla parte del dottore B. per la ricucitura. Gli alfaniani, poi, sono straconvinti di portare a casa il risultato, in caso di congresso, in terra sicula: il segretario è di Agrigento e uno dei capi della “fronda”, da tempi non sospetti favorevole alla fiducia a Letta, è il coordinatore Giuseppe Castiglione, fedelissimo di Angelino. Con lui, un’altra schiera di alfaniani, tutti firmatari del documento dei 25 di Palazzo Madama. Però, se tre quarti della Trinacria è in mano alle colombe, almeno un quarto è lealista: Micciché, Prestigiacomo, e Mimmo Scilipoti? In Toscana comanda Berlusconi grazie a Denis Verdini, ma anche a Matteoli, Bondi, Minzolini, Toccafondi, Bianconi, Bergamini, Massimo Parisi e Marco Stella: tutti con Forza Italia. Idem la Puglia, dove il dominus è Raffaele Fitto, non proprio un alfaniano, anzi. A lui si deve l’ipotesi del congresso per azzerare tutte le cariche del partito e ricominciare. In Campania non vi sono dubbi: il partito è unito e coeso sulle posizioni di Berlusconi. Compatto. Il coordinatore è Nitto Palma, altri big che fanno la differenza nelle urne sono l’ex ministra Mara Carfagna e soprattutto Luigi Cesaro, detto Giggino a purpetta, presidente della Provincia di Napoli. Ogni decisione presa dai big campani, come il documento di venerdì scorso, è vistato dal Cav. Non ci sono traditori. Incerto il Piemonte, dove i big sono il senatore falco Lucio Malan, ma anche il deputato alfaniano Enrico Costa. L’Emilia Romagna sta con il governo. La Basilicata e la Calabria sono considerate ormai alfaniane. Molise e Abruzzo incerte. Marche più berlusconiana che altro. Il Trentino, neanche a dirlo, è terra della bionda amazzone di Silvio Michaela Biancofiore. (B.B.)