Il punto

Pdl, ecco perché ad Alfano conviene il congresso

Andrea Tempestini

La contrarietà delle colombe all’ipotesi congresso è comprensibile: il percorso è lungo e pieno di insidie, e mettere a repentaglio così la vittoria incassata nei gruppi parlamentari rischierebbe di risultare diseconomico. Premesso questo, però, va anche detto che il congresso può essere, in chiave di consolidamento della leadership, un’occasione irripetibile per Angelino Alfano. Un candidato che si presentasse al congresso forte nell’ordine di: investitura di Berlusconi; segreteria del partito; vicepresidenza del consiglio sarebbe infatti un candidato in grado di sviluppare una grandissima forza centripeta. Questo non potrebbe non influire sui rapporti di forza sul territorio, al momento tallone di Achille delle colombe nella disfida con i lealisti. Di fronte ad un candidato con tanto vento in poppa, a molti quadri locali - specie mobile per definizione - verrebbe naturale iniziare a provare una certa fascinazione per l’alfanismo. In questo senso c’è addirittura già un segnale preventivo. Nel weekend a Prato andrà in scena un incontro tra amministratori territoriali e dirigenti del partito (sabato ci sarà il vicepremier) promosso dal vicepresidente dell’Anci, l’alfaniano sindaco di Pavia Alessandro Cattaneo: ebbene, nelle ultime ore le richieste di adesione da parte di dirigenti locali di ogni latitudine ed estrazione hanno iniziato a piovere sul tavolo degli organizzatori. Facile pronosticare un incremento di movimenti in questa direzione qualora a congresso si andasse davvero. Sancendo in sede congressuale la propria forza sul territorio e potendola aggiungere a quella già manifestata a Roma, Alfano si troverebbe quindi in condizione di superare uno dei maggiori ostacoli sulla propria strada: quello della legittimazione. Che è poi il tasto su cui, da anni, battono con insistenza quanti hanno in animo di lavorarlo ai fianchi: la teoria dell’Angelino segretario solo perché ce l’ha messo Berlusconi è da tempo il primo punto del credo antialfaniano. Un credo tenace, che nemmeno l’affermazione del segretario all’interno dei gruppi parlamentari culminata col voto di fiducia al governo è riuscita ad incrinare. Anzi, ha semmai motivato i lealisti, i quali proprio al congresso affidano la speranza di certificare che la forza del segretario nelle rappresentanze pidielline di Camera e Senato pari non è a quella sul territorio. Come un’affermazione alfaniana al congresso avrebbe pertanto il potere di spazzare via per l’eternità qualsivoglia questione di legittimità (con tutti i vari strascichi a base di quid e altro) diventa evidente. Alfano avrebbe dalla propria l’indicazione del Grande Capo, i numeri nei gruppi parlamentari ed i rapporti di forza sul territorio. Un tris che, se si ha l’obiettivo rafforzare la propria leadership all’interno di un partito politico, vale più di un terno al lotto. Immaginare manovre ostili contro un segretario tanto forte, a quel punto, diventerebbe un passatempo per avventuristi e poco più. Detto dei vantaggi derivanti per Alfano, resta da dire di quelli derivanti per il partito. Cui l’assise tutto potrebbe fare fuorché male. Non avendo mai celebrato un congresso (ad eccezione di quello fondativo, dove però più che con le deleghe si era proceduto con l’applausometro), ove il Pdl si dotasse di regolamenti e procedure, ciò non potrebbe che essere visto come sintomo di buona salute. La storia del partito di plastica andrebbe definitivamente in soffitta e si fornirebbe al mondo tangibile dimostrazione che confronto, primarie e democrazia interna non sono esclusiva della sinistra. di Marco Gorra