Il commento

Mughini: Pdl e Pd in gabbia, addio seconda Repubblica

Andrea Tempestini

La politica come impotenza degli uni e degli altri, come schiamazzo di tutti contro tutti. Una politica da cui manca drammaticamente quel che ne costituisce nel bene e nel male la nobiltà, ossia le decisione, sostituita da estenuanti agonie sempre le stesse. Due o tre giorni fa ascoltavo in televisione il deputato grillino che in aula spettorava giudizi da trivio su chi fosse più gaglioffo tra i due partiti maledetti dai grillini, il Pd e il Pdl. Ebbene le sue parole in aula hanno provocato il finimondo, e il presidente della Camera s’è impennata a bloccare il suo linguaggio, e i giornali dell’indomani ne hanno parlato e straparlato, e durante i successivi telegiornali vedevo che giornalisti e cameramen accorrevano a intercettare questa nuova celebrità della odierna politica e registrarne i giudizi talmente rari e pregevoli. E tutto questo - tutta questa volgarità, tutto questo schiamazzo, questa corrida politica animata da nullità - mentre l’Italia è l’unico Paese d’Europa che ancora non s’è sollevato dalla recessione; mentre le classifiche internazionali ci mettono al 49° posto in fatto di competitività della nostra economia, superati anche dalle Isole Barbados; mentre le nostre aziende pagano il denaro almeno il doppio di quanto lo pagano le aziende tedesche loro concorrenti; mentre ascolto a una radio che sono 12mila le famiglie milanesi morose nel pagare il costo della mensa scolastica dei loro figli. Ho detto 12mila. A Milano, non a Catanzaro. Segno che la lotta per la sopravvivenza in Italia si gioca oggi anche sui pochi euro che costa il vitto di un ragazzo che mangia a scuola. La Seconda Repubblica è alla sua Caporetto, al disastro totale delle sue cerimonie e della sua classe politica. Altro che la fine della Prima Repubblica, la quale aveva al suo attivo la ricostruzione economica del Paese e la vittoria contro i due terrorismi (quello rosso e quello nero) pur nel rispetto dei principî fondamentali della democrazia. La Seconda Repubblica era nata dalla specialissima emergenza provocata da una magistratura che aveva distrutto i partiti portanti della recente storia politica italiana, da una magistratura che ebbe l’ambizione di voler “riscrivere” quella storia a costo di rivoltare l’Italia come fosse un calzino, e che fondò in quegli anni la sua onnipotenza, cosa ben diversa dalla sacrosanta autonomia dei rispettivi poteri costituzionali. Nata male, la Seconda Repubblica si ritrovò animata da una classe politica fatta di dilettanti e di seconde file sopravvissute alla decimazione di “Tangentopoli”. Non stava né in cielo né in terra che la coalizione detta di centro-destra mettesse assieme forze culturalmente e antropologicamente così lontane come i leghisti e gli ex fascisti (e anche se la legittimazione di quell’alleanza ebbe il merito di chiudere lo scontro frontale tra “fascisti” e “antifascisti”, roba che nel 1994 era antiquariato allo stato puro), tanto è vero che poco dopo fu Umberto Bossi a sgambettare il primo governo Berlusconi. E comunque il difetto della coalizione di centro-destra stava nel manico. Nel fatto che ad averne la leadership totale fosse un imprenditore tra i più ricchi e creativi del Paese, uno che aveva interessi in tutti i campi ivi compresi settori cruciali dell’editoria scritta e televisiva, uno i cui “conflitti di interessi” gli sarebbero prima o poi ripiombati sul muso da quanto enorme era il reticolato e dei suoi affari e dei suoi interessi. Capo di un’azienda che in un anno versava allo Stato 560 milioni e passa di tasse, un giorno avrebbe beccato una sonante condanna definitiva per avere “frodato” allo Stato poco meno di otto milioni.  Condanna cui fa da pena accessoria la decadenza dalla carica parlamentare. E qui non ci sono santi. Fra una settimana o fra un mese o fra sei mesi Silvio Berlusconi decadrà da senatore, e tanto più che purtroppo per lui sono in arrivo altre sberle giudiziarie e non di poco conto. Sarei stato felice se il passo indietro lo avesse fatto lui, se avesse deciso lui di ritirarsi dalla prima fila della politica e tanto più che la sua storia politica reale era giunta al capolinea già due anni fa, al momento in cui il suo governo era stato rimpiazzato dal governo di Mario Monti. Berlusconi lasci perdere i ricorsi a Strasburgo che non porteranno niente, non ascolti i consigli affannati di quanti tra i suoi adepti lo vorrebbero “senatore a vita”, non ci pensi neppure per un attimo alla follia di capeggiare la carica del centro-destra a prossime e imminenti elezioni, e magari vincerle. Quella vittoria non varrà niente perché nel frattempo l’Italia sarà divenuta un deserto quanto alle sue risorse e ai suoi conti, e ci ammazzeremo per strada per pochi euro. Lui faccia un passo indietro. Non è nelle condizioni di chiedere una sorta di onore delle armi, questo no. Può chiedere, questo sì, rispetto umano, le garanzie più ampie che merita ciascuno che si stia difendendo da accuse veementi, che vengano zittiti quelli della controparte che trattano da “delinquente” uno che è stato tre volte capo del governo. Ci vorrebbe niente perché questo accadesse. Sono sicuro che siano tanti i dirigenti del Pd che sarebbero pronti ad accordargli quel rispetto e quelle garanzie. Solo che il Pd è divenuto a sua volta una sorta di guazzabuglio. Il partito in cui sono stati in 110 a dire un no sonante a quel Romano Prodi che ne era stato una figura di gran rilievo, e di quei 110 nomi e cognomi a tutt’oggi ne sappiamo pochissimi. C’è una tragedia del berlusconismo e c’è una tragedia dell’antiberlusconismo. Succede così che un dirigente del Pd di gran prestigio, l’ex magistrato Luciano Violante, dica una cosa quanto di più ovvio, e cioè che ciascuno ha diritto di difendersi dalle accuse più e meglio che può, ed ecco che all’interno del suo stesso partito lo mettono in croce, e durante un dibattito pubblico Violante è sul punto di scoppiare in lacrime da quanto lo stanno offendendo, e la volta dopo un “compagno” troglodita gli versa in testo il contenuto di una bottiglia d’acqua minerale. Solo che se un troglodita dice delle cose da trivio contro il ministro Cécile Kyenge, tutti scattano (giustamente) a dire quanto sia troglodita. Il lanciatore dell’acqua minerale, ne sono sicuro, avrà avuto un bel po’ di pacche sulle spalle dai “compagni” che assistevano. C’è troglodita e troglodita. Il gruppo dirigente del Pd è assediato dalle frange estreme del suo popolo e dal Nulla a 5Stelle. Ciascun dirigente del Pd ha paura di essere scavalcato a sinistra dal suo compagno di banco. Ecco perché nella politica italiana di oggi chi schiamazza più forte ha la meglio, pur nel momento in cui ciascuno di noi dovrebbe camminare a passi felpati verso un futuro politico di cui non sappiamo nulla se non una cosa: che il tempo delle vacche grasse non tornerà più. Porcellum o non porcellum, l’eventuale vincitore delle prossime elezioni non avrà fiori e brioches da distribuire. Porcellum o non porcellum, i dati generali del nostro Paese e della nostra condizione economica sono più lugubri che non una pagina di annunci mortuari. Politica italiana democratica e pluripartitica, se ci sei batti un colpo. O magari un colpetto. Basterebbe quello. di Giampiero Mughini