Il piano
Lo scudo anti-Berlusconi:la mossa di Napolitanoper evitare le urne
Il braccio di ferro tra Silvio Berlusconi e Giorgio Napolitano si fa sempre più intenso. Da una parte il Cavaliere che aspetta dal Quirinale un intervento volto a ristabilire l’agibilità politica nel senso più pieno del termine (una grazia piena, corrispondente di fatto ad una riabilitazione), dall’altra il capo dello Stato che difende i paletti messi nella ormai celebre nota del 13 agosto (grazia solo sulla pena principale e con tempi non contingentati). Il punto è che da questo braccio di ferro dipendono i destini del governo e della legislatura. Berlusconi ed il Pdl hanno fatto capire più che chiaramente che in caso di esito negativo della vicenda politico-giudiziaria dell’ex premier la caduta dell’esecutivo Letta sarebbe automatica. Le conseguenze di questo scenario (bivio fra ricerca di un’altra maggioranza senza Pdl ed elezioni anticipate) sono presenti a tutti, Napolitano in testa. È per questo che al Quirinale la presente fase è vissuta con grande apprensione. Per Napolitano, mai come in questo momento la stabilità è il primo valore, e metterla in sicurezza dalla variabile berlusconiana diventa dunque l’obiettivo primario. Ai segnali pidiellini giunti nell’ultimo periodo e che vanno nel senso della crisi in caso di mancata soluzione del caso Cav, il presidente della Repubblica ha preso così a rispondere mandando messaggi di segno opposto. A ogni strattone destabilizzante proveniente da area berlusconiana, il Quirinale ne oppone uno in senso uguale e contrario. La prima contromossa risale a cinque giorni, ed è la nomina dei nuovi senatori a vita Renzo Piano, Claudio Abbado, Carlo Rubbia ed Elena Cattaneo (i quattro ieri hanno peraltro fatto il proprio esordio in aula ad eccezione di Abbado, indisposto). Una mossa che, al di là dei meriti curricolari dei prescelti, aveva dato a molti l’impressione di celare una manovra stabilizzatrice consistente nell’inserimento nel sempre incerto pallottoliere di Palazzo Madama di quattro voti governisti a prescindere. Quattro voti che da soli non bastano certo a sostenere una maggioranza deberlusconizzata, ma che certamente aiutano. Ieri è stato il turno della seconda contromossa. L’annuncio della quale è stato dato di buon mattino mediante Corriere della Sera. Sul quotidiano milanese - a conferma della tradizionale attendibilità circa le cose quirinalizie - compare la notizia: Napolitano ha deciso di nominare Giuliano Amato alla Corte Costituzionale. Notizia data con profilo basso e sibillino: un colonnino non firmato e appena ingentilito da uno svolazzo grafico, relegato nelle pagine interne. Nell’articoletto si legge che il presidente ha scelto, che la decisione sarà ufficializzata entro il 14 settembre (giorno in cui scade il mandato del giudice da sostituire, Franco Gallo), che in lizza c’erano altri autorevoli candidati, che la Corte dovrà pronunciarsi su questioni scottanti come la costituzionalità della legge Severino e della legge elettorale. Il dettaglio rivelatore arriva però nell’ultimo paragrafo: «L’approdo alla Consulta, se davvero toccherà ad Amato, non è però di per sé preclusivo di incarichi politici. Basta ricordare che, dopo le consultazioni chiuse col fallimento del preincarico a Bersani, per la nascita di un governo di scopo fu evocato anche il nome di un giudice costituzionale come Franco Gallo. Mentre di Sabino Cassese si parlò per la presidenza della Repubblica». Ed è su queste parole che in casa Pdl suona l’allarme. Che ci si sia premurati di mettere in chiaro che la nomina «non è preclusiva di incarichi politici» e che si siano buttate là con nonchalance le parole «governo di scopo» viene letto come un messaggio chiarissimo: se Letta cade, in cima al mazzo di Napolitano da oggi c’è la carta Amato. La lettura che viene data dell’operazione, a questo punto, è la seguente. Primo: avere fatto Amato giudice costituzionale assolve la stessa funzione politica dell’avere fatto, a suo tempo, Monti senatore a vita (ossia fornire l’individuo di adeguata dotazione di terzietà e alto profilo istituzionale). Secondo: avere parlato di governo di scopo equivale ad aver fatto balenare esplicitamente la prospettiva post-lettiana. In caso di caduta dell’attuale governo, infatti, è opinione comune che lo si dovrebbe provare a sostituire con un altro vincolato a legge di stabilità e riforma elettorale: un governo di scopo, appunto. Terzo: inserire in questa operazione il Dottor Sottile significa mettere il massimo della pressione possibile sul Pdl. Era stato proprio il partito di Berlusconi, infatti, a proporre il suo nome per Palazzo Chigi durante le trattative di primavera che sarebbero poi sfociate nell’incarico ad Enrico Letta. Di tutte le personalità cui il Colle potrebbe conferire il mandato di cercare una maggioranza per scongiurare le urne, Amato sarebbe una di quelle che il Pdl (o quantomeno la sua ala morbida) farebbe maggiore fatica a non votare. Tre indizi che, fanno notare i soliti malpensanti, fanno una prova. di Marco Gorra