Bestiario

Pansa: Italia appesa a due bande di pazzi

Giampaolo Pansa

Dà il voltastomaco leggere le cronache dei giornali dedicate alla politica italiana. Non per lo stile delle singole testate e dei giornalisti. Ormai sono un signore vaccinato e da anni non credo più alla neutralità dell’informazione, soprattutto quando racconta le vicende dei partiti. Del resto è sufficiente tener conto di un paio di quotidiani che non la pensano nello stesso modo e l’equilibrio viene ristabilito.   Il voltastomaco nasce dal comportamento dei partiti in questa stagione di drammatiche incertezze. A cominciare dalle due parrocchie maggiori, il Pdl e il Pd, siamo di fronte a un caso quasi criminale di miopia politica e civile. Il centrodestra e il centrosinistra continuano a pestarsi sulla sorte di Silvio Berlusconi. Bisogna salvarlo o no? Occorre ridargli l’agibilità politica, immagine orrenda che fa pensare a un signore bloccato su una sedia a rotelle da un attacco di paralisi, oppure è meglio abbandonarlo al suo destino, che vada pure in carcere o all’inferno?   In realtà da salvare c’è un bene assai più grande. È  l’Italia, il nostro paese, in altri tempi avremmo detto la nostra patria. Con tutto quello che ne consegue: l’esistenza di milioni di persone, la sicurezza del domani, il futuro dei giovani e, se permettete, anche quello degli anziani.  Sì, proprio degli anziani che hanno costruito il benessere italiano, hanno lavorato per tutta la vita, hanno risparmiato quel poco che potevano, come formiche giudiziose. E adesso si trovano davanti al rischio di veder andare tutto a ramengo. Per colpa di due bande di pazzi che scavano la fossa non soltanto per se stessi, ma per tutti noi.  Cosa penso del cav - È  inutile che spieghi di chi stia parlando. Li ho appena nominati. Uno è la banda della rediviva Forza Italia, guidata da cavalier Berlusconi. L’altra è la banda democratica, guidata da chissà chi: Epifani, Renzi, gli eredi di Bersani? O forse da Enrico Letta e da Giorgio Napolitano, gli unici che a sinistra hanno conservato la saggezza necessaria a non portarci tutti al disastro. Domenica scorsa ho già spiegato che cosa pensi del Cavaliere. L’ho messo nero su bianco non perché ritenga di essere un giudice inappellabile: come tutti i giornalisti, anch’io conto quanto il due di picche e sono soggetto a sbagliare. L’ho scritto soltanto per rispetto dei miei lettori e per il desiderio di essere chiaro soprattutto nei loro confronti. Però mi è rimasta nella strozza qualcosa che devo ancora tirar fuori. La prima è una domanda e una constatazione che molti si fanno. Che cosa può aspettarsi Berlusconi per quel riguarda le sue vicende processuali, odierne e future? A mio parere poco o niente. Per un tempo che può sembrare lungo agli occhi di un signore che tra un mese compirà 77 anni, non deve attendersi nulla di buono. Nessuna grazia da Napolitano. Nessuna amnistia. Nessuna clemenza dalla commissione di Palazzo Madama che deve decidere la sua permanenza in Senato. L’ipotesi più probabile è che Berlusconi debba scontare la pena di un anno agli arresti domiciliari o ai servizi sociali.  In entrambi i casi, il Cav continuerà a guidare il proprio partito. Ma verso quale traguardo? Far cadere il governo Letta non gli servirà a nulla. Anzi lo danneggerà agli occhi dei tanti italiani soffocati dalla crisi e che non vogliono alcun salto nel buio. Le elezioni anticipate non ci saranno, perché il presidente della Repubblica non le vuole. Caduto il Letta 1 ci sarà un Letta 2. Con quale maggioranza? L’esperienza mi ha insegnato che, in epoche di crisi pericolose per il sistema, in Parlamento una maggioranza, magari piccola, la si trova sempre.  Tra quattro mesi comincerà il semestre europeo a guida italiana. Quanti politici sono disposti a mandarlo a ramengo? E quanti parlamentari, anche del Pdl – Forza Italia, sono pronti a ficcarsi nella caverna buia di nuove elezioni? In Parlamento c’è una quantità di gente nuova che in febbraio si era convinta di aver agguantato un posto di lavoro insperato e della durata di cinque anni. Neppure cento Berlusconi sarebbero in grado di farglielo gettare nel guardaroba dei cani. Pochi vorranno affrontare di nuovo gli elettori, per di più portandosi sulle spalle l’accusa di aver voluto la crisi. Anche ammesso che rimanga in vigore il Porcellum, su qualche piazza dovranno pur presentarsi. E tutti abbiamo imparato che bastano cinquanta contestatori infuriati per dar vita a un piccolo inferno. Dove volano insulti, calci, pietre e, speriamo di no, qualche colpo di rivoltella.  Infine resta nell’aria l’incognita dell’esito elettorale. Se dobbiamo credere ai sondaggi, oggi il centrodestra sembra godere di un buon vantaggio sugli avversari. Ma tutti, a cominciare da Berlusconi, hanno imparato a diffidare delle intenzioni di voto. E non perché quanti vanno a sondarle siano dei dilettanti.  Il motivo è un altro: l’Italia del 2013 è un territorio sconvolto dalla crisi e soggetto a scosse telluriche improvvise.  Tutte le sorprese sono possibili. Del resto, nelle elezioni di febbraio, Berlusconi e il suo centrodestra sembravano alla canna del gas. Invece la rimonta li ha portati a un’incollatura dal centrosinistra guidato dall’imprevidente Bersani.  Adesso Bersani non conta più niente. Ma anche sotto la guida provvisoria di Epifani, il Partito democratico è sempre una banda di pazzi. Non pochi dei big vengono dal Partito comunista italiano. Ma hanno imparato poco dal loro insuperabile maestro: Palmiro Togliatti.  Il Migliore era il campione mondiale del cinismo politico. Non appena sbarcato in Italia dall’Unione sovietica, era la fine del marzo 1944, si affrettò a fare un governo con quel vecchio arnese del maresciallo Badoglio, un militare che aveva servito a lungo il fascismo. E riconobbe persino la monarchia dei Savoia, purché al posto del vecchio Vittorio Emanuele III subentrasse come reggente il principe Umberto.  Se Togliatti fosse ancora vivo, avrebbe già risolto la questione dell’agibilità di Berlusconi. Con qualche trigomiro gli salverebbe l’agibilità politica e il posto in Senato. I suoi eredi, compresi quelli allevati nella grande cuccia democristiana, fanno l’esatto contrario. Tutte le sere, su tutti i telegiornali, ci offrono un bla bla da mattoidi suicidi. Per loro l’unica soluzione possibile è l’espulsione del Berlusca dal Senato. Mostrano sempre pollice verso, da pupazzi che si credono imperatori. I timori del Pd - I big democratici si comportano così perché temono l’ira della loro base militante ed elettorale, in gran parte giustizialista. Forse non si rendono conto di affogare in un paradosso stomachevole: quello di un gruppo dirigente che non è in grado di dirigere nulla. Fanno rimpiangere persino l’ingrigito Max D’Alema che, da premier del centrosinistra, nel marzo 1999 decise di partecipare alla guerra della Nato contro la Serbia di Slobodan Milosevic.  Meritandosi gli sberleffi di Nichi Vendola che lo bollò cosi: «Grevemente atlantico, goffamente demagogico, cinicamente spoglio di dolore, con una spocchia da statista neofita». Si trovò messo alla berlina persino dall’Unità, il giornale che aveva diretto. Certe paginate a fumetti di Sergio Staino lo ritraevano come un politicante vanitoso che, nel brindare a champagne con Sofia Loren, diceva di stesso: «Il dramma dell’Italia è che possiede una sola, vera mente politica: la mia!».   Se il centrodestra è alla frutta, il centrosinistra non sa decidersi neppure se mangiare le mele o le pere. Purtroppo non siamo a una mensa della Caritas. Le due bande si trovano di fronte a una nazione sempre più esasperata. Per questo è bene che stiano attente all’ira dei calmi.  Non scherzare con il fuoco è la regola numero uno di qualsiasi politico decente. Vale per il Cavaliere e per il signor X che guiderà per davvero i democratici. Se volete morire, scavate pure la fossa per voi. Ma non per i poveri cristi che vi guardano sempre più in cagnesco.