In ebollizione

Pdl, Berlusconi: "Se non mi candido, non esistiamo". Alfano sotto processo

Giulio Bucchi

Chiamarla vacanza è troppo, data l’avversità del clima. Diciamo che la permanenza in Costa Smeralda, in attesa di una primavera che si lascia desiderare, va rubricata piuttosto alla voce “pausa di riflessione”. Così, riflettendo, Silvio Berlusconi se ne sta alla larga da Roma. E dai problemi qui domiciliati. Rientrerà domani, il Cavaliere, ma a Milano. Altre priorità. Più impellenti delle questioni politiche. Come la scelta del nuovo allenatore del Milan. In serata ha un vertice con Galliani per decidere sulla eventuale conferma del mister Allegri.  Allegri non sono i dirigenti del Popolo delle libertà, che hanno cercato di contattare il leader per commentare il risultato elettorale. Invano. L’ex premier ha staccato la spina. E, a quei pochi che sono riusciti ad avere udienza, ha fatto capire che gli  frega poco del turno amministrativo del 26 maggio. È il solito discorso: quando è lui in persona a dettare i temi della campagna e a chiamare il suo elettorato alla battaglia, quello si mobilita. Ma quando Silvio non fa il fenomeno, tra i supporter azzurri è la pigrizia ad avere il sopravvento. E alla fine, agli occhi di Berlusconi, il mezzo flop azzurro è anche un modo per certificare l’indiscutibilità della sua leadership. E la evanescenza di quelle altrui.  Sarà. Ma, in sua assenza, il partito, sul tema voto (e su giustizia, legge elettorale, gay), si accende come una miccia. Ieri il bilancio scaturito dall’esame degli scrutini definitivi è apparso peggiore dell’analisi a caldo. Con un Pdl che è arretrato dappertutto. Un dato reso un po’ meno amaro dalla dispersione dovuta alla presenza delle liste civiche di appoggio.  L’insuccesso ha riacutizzato lo scontro tra l’ala governativa e i fedayn berlusconiani. I primi a sostenere la necessità di andare aventi nel sostegno all’esecutivo di Enrico Letta; i secondi a sottolineare come proprio quell’appoggio sia la causa dell’erosione della base elettorale a fatica riagguantata alle Politiche di febbraio. Su queste argomentazioni si sono confrontati, durante un vertice congiunto dei gruppi parlamentari, da un lato il ministro delle Riforme Gaetano Quagliariello e dall’altro il coordinatore azzurro Denis Verdini.  Non tira una bella aria, a via dell’Umiltà. C’è chi chiedere la convocazione dei congressi  per rinnovare una dirigenza locale troppo litigiosa. E c’è chi pretende di affrontare la questione dal vertice, ponendo di nuovo, e con forza, la questione del doppio ruolo di Angelino Alfano. Che è ministro dell’Interno e, nel contempo,  segretario del Pdl. Torna a circolare la voce, alimentata dalla depressione post voto,  di una possibile rivoluzione al vertice pidiellino, con l’indicazione di un reggente. Molti considerano Verdini, ombra berlusconiana, come il più accreditato per il ruolo.  Nel frattempo si litiga su riforme e legge elettorale. Silvio ha dato disposizione ai suoi di dare priorità ai temi economici («Prima il fisco e poi l’architettura istituzionale») e di fare tutto il possibile perché «non torni il Mattarellum», come vuole una parte della sinistra. Inoltre Berlusconi - preoccupatissimo per i suoi processi -  si era anche raccomandato di non surriscaldare il clima tra politica e giustizia, onde evitare di entrare in polemica anche con magistrati che non sono di rito ambrosiano. Ordine quotidianamente disatteso. Ieri la polemica è stata innescata da una proposta di legge del presidente della commissione Giustizia Francesco Nitto Palma: se il pm è “politicizzato” - è l’idea dell’ex Guardasigilli - scatta l’azione disciplinare fino al trasferimento e la sospensione del processo per sei mesi. Apriti cielo: tutti pensano alla malizia, alla «solita» legge ad personam per bloccare i processi del Cavaliere, anche se Nitto Palma giura che non era questo il senso. Ma stavolta l’ex toga si prende le critiche anche dei suoi sodali. Con Sandro Bondi che lo accusa di «creare ulteriori problemi a Berlusconi». E con Niccolò Ghedini che sconfessa il deputato: le uniche proposte sulla giustizia sono quelle «concordate con la maggioranza». di Salvatore Dama