Il retroscena

Letta frega Renzi: il vero rottamatore è lui i suoi "assi" per far fuori i vecchi

Lucia Esposito

di Francesco Specchia   Enrico Letta è un caterpillar con le pattine. Morbidamente irremovibile. Per guidare il Pd ci vuole un «garante non ingombrante», una figura-ponte che eviti al partito l’implosione. «Il nostro vero problema, per il prossimissimo futuro, è sapere che ci sia qualcuno alla segreteria che risponde al telefono; e poi comunicare alla nostra base che, nonostante tutto questo masochismo, non siamo in ginocchio...». Alla vigilia dell’assemblea nazionale dei Democratici, dall’inner circle lettiano, arrivano dettagli sulla strategia del capo. In pratica il premier Letta si presenterà con un credito verso gli oligarchi del partito. In nome della pacificazione interna ed esterna nessuno dei suoi venticinque parlamentari - compresi i fedelissimi Paola De Micheli, Marco Meloni, Francesco Russo, Guglielmo Vaccaro, Alessia Mosca, ecc. - è al governo, mentre dalemiani, renziani e bersaniani hanno piazzato i loro nell’usuale logica cencelliana. Soltanto il lettiano Francesco Boccia, economista in grado di fare tranquillamente il ministro, è stato issato alla presidenza della strategicissima commissione Bilancio; anche perché lì un ministero in famiglia era già stato assegnato (alla moglie Nunzia De Girolamo) e insistere pareva inelegante. Tale credito lettiano verso il Pd prevede, di fatto, l’attuazione del progetto che non è riuscito a Matteo Renzi. Far fuori i vecchi oligarchi, ma senza che se ne accorgano: il vero potere non grida, ti strozza con  nastri di seta, garbo e intelligenza, scriveva Oriana Fallaci. E Letta vuole, con garbo, puntare su un governo duraturo schierato soprattutto sulla trincea europea («è la mia prima preoccupazione, gli affari interni del partito sono meno importanti»); ed è questo il motivo dell’apparente disinteresse per la lottizzazione ancora più feroce dei sottosegretari considerati pallidi spettri nelle grandi strategie internazionali. Ma Letta vuol pure tessere una strategia che faccia traghettare l’attuale Pd dalla sua struttura novecentesca e lontana dagli elettori verso il dominio della nuova generazione dei 40/50enni, roba molto più obamiana che dalemiana. Per questo l’eterno secondo, che, all’improvviso, da premier ha trovato la sua identità - non più «il più giovane tra i vecchi ma il più esperto tra i giovani» - intende traversare il guado «generazionale, di programma, di chiarimenti» accompagnato da una figura di raccordo, autorevole ma che non appartenga al gruppo degli oligarchi, ossia i D’Alema, gli Amato, i Veltroni, le Bindi verso la quale l’acredine è antica e corrisposta. Per il presidente del Consiglio l’ideale segretario/ponte in attesa del congresso da farsi il prima possibile (a giugno o, al massimo, ottobre) risponderebbe alla figura di un Sergio Chiamparino o di un Vanino Chiti. Extrema ratio ad una Anna Finocchiaro, comunque rischiosa per la forte personalità. Serve, insomma, un «reggente» che trascini via, quasi impercettibilmente, il partito nelle mani dei giovani, ma che non oscuri la palingenesi. Per questo Letta e la sua azione di governo stanno dettando in modo lento ma inesorabile la linea a Largo del Nazareno («Dov’è Enrico? Bisogna sentire Enrico...», è il mantra in ogni riunione), pur apparendo il vicesegretario soltanto tangenziale al partito. Per questo Letta trova facile sponda non solo nella sua corrente ma anche tra i Giovani Turchi che oramai hanno bruciato il padre nobile Bersani, tra i militanti di Occupy Pd, e tra gli stessi renziani. «Fioroni può minacciare quello che vuole, Rosy Bindi può polemizzare finché vuole, ma sono voci marginali», spiega un lettiano della prima ora, «lo stesso D’Alema non ha più i delegati del 2009, che sembra un’altra era geologica. Ora siamo noi la maggioranza e il congresso va in questa direzione...». Senza traumi, però. Dopodiché, liquidati gli anziani, al congresso si riproporrà probabilmente Matteo Renzi. Il quale, spiazzato dall’exploit di Letta premier nonostante se stesso, dovrà tornare alle Primarie per battersela con un avversario dalla statura molto più internazionale, con molta più esperienza e molto più democristiano...