Il diktat
La minaccia di Berlusconi:"Via l'Imu o salta tutto"
di Salvatore Dama «Vediamo cosa dice in aula Letta sull’Imu. Poi si vede...». Silvio Berlusconi prova a tenere a bada i falchi del suo partito. Quelli che in tutti i modi hanno provato, sul fotofinish, a distogliere il Cavaliere dall’«inciucio» con la sinistra. Un «abbraccio mortale», dove «loro si sistemano e tu rimani fregato». Il leader del Pdl ha voluto portare a termine la strategia delle larghe intese. E si sa perché. Era stato lui a proporla dall’inizio e il fatto che vada in porto «è una mia vittoria». Poi l’ha promesso a Giorgio Napolitano e «la parola data al Capo dello Stato va onorata». Infine è preoccupato per il Paese: «Tornare subito al voto è uno scenario deleterio per un’economia in crisi». Però Berlusconi rimane con la bocca amara per come si è conclusa la trattativa. Lo ha raccontato ai falchi esclusi dalle nomine ministeriali per tirare su il loro morale: «Mettiamo il governo alla prova dei fatti, poi tiriamo le somme», ha detto ai più perplessi. Per tranquillizzarli. In mattinata Silvio ha avuto un lungo incontro con il presidente del Consiglio incaricato. «Mi sono battuto come un leone per provare a fare entrare i nostri con più esperienza», ha raccontato nel pomeriggio riferendosi agli ex ministri Renato Brunetta, Mariastella Gelmini, Mara Calfagna e Anna Maria Bernini, «poi è prevalsa la tesi del ricambio e dell’esclusione di chi era già stato al governo. Non ho potuto fare altro che accettare». In realtà è prevalsa la cordata dei Letta’s, zio Gianni e nipote Enrico, che sono stati i protagonisti della mediazione. E alla fine Silvio ha portato «perlomeno» a casa il ministero dell’Interno per Angelino Alfano. Che rimane anche segretario del partito. In realtà il capitolo debole dell’accordo non è la scelta dei ministri, ma l’Imu. Berlusconi e Letta si salutano senza aver concluso nulla sull’argomento. Silvio va via senza aver strappato la promessa che «l’odiosa» tassa sugli immobili verrà eliminata. E l’indicazione di Fabrizio Saccomani come superministro dell’Economia è un macigno sul percorso che può portare all’abolizione del balzello. Della sua restituzione, poi, neanche a parlarne. Ma Silvio ne ha fatto il perno della sua campagna elettorale. Non può rimangiarsi la promessa. Tanto che ora l’ex premier si aspetta una parola di chiarezza nel discorso di Letta alle Camere: «Vogliamo un impegno preciso sull’Imu e sull’attuazione del programma economico del Pdl, i nostri otto punti. Altrimenti saremmo davvero in imbarazzo a votargli la fiducia...». L’altro nodo è altrettanto serio. E attiene ai processi di Berlusconi. Il Cavaliere non si aspetta dal Quirinale un “premio” per il senso di responsabilità dimostrato in questa occasione favorendo lo sblocco dello stallo politico. E comunque, sulla sua pelle, Silvio ha sperimentato che la Presidenza della Repubblica non ha poteri coercitivi, né facoltà di moral suasion su alcune procure. L’unica speranza berlusconiana è che le larghe intese favoriscano «il determinarsi di un clima nuovo» in cui i poteri dello Stato si pacifichino. E una frangia della «magistratura politicizzata» deponga le armi contro l’uomo di Arcore, visto che adesso è “alleato” della parte politica a loro più cara, la sinistra. Pie illusioni, forse. Entro il mese di maggio la Cassazione deciderà sul trasferimento dei processi Ruby e diritti Mediaset da Milano a Brescia. Dovesse succedere il “miracolo” allora il Cavaliere potrebbe sul serio guardare alla prosecuzione della coabitazione con la sinistra. Ma se, come invece teme, entro l’estate dovessero piovergli addosso una o due sentenze di condanna, allora ciao. È molto difficile che il governo Letta possa resistere alle vicissitudini giudiziare dell’ex presidente del Consiglio. Si andrebbe dritti al voto anticipato, l’unica polizza di Silvio per resistere all’«aggressione giudiziaria». Il bunga bunga? «Sono tutte false accuse costruite da una parte politicizzata della magistratura», ha spiegato a Fox News, in un’intervista registrata negli Stati Uniti prima di rientrare a Roma. «In Italia lo sanno tutti, altrimenti non avrei ricevuto tutti questi voti. Da anni subisco una aggressione giudiziaria continua» messa in campo da «una parte dell’estrema sinistra» che cerca di farlo fuori «per via giudiziaria». Eppure lui ha deciso di non voler più sedere a Palazzo Chigi: «Sono stato premier per nove anni», ora basta. «Dopo aver deciso di lasciare la politica sono stato chiamato a dare suggerimenti e proposte per rilanciare l’economia e ora, con il nuovo governo che viene formato con la sinistra, questo programma è sul tavolo». Berlusconi imputa ai tecnici la colpa della crisi economica: «Purtroppo abbiamo avuto un governo di tecnocrati fortemente influenzato dall’Europa. L’austerity può dare risultati, ma è negativa quando ci si trova in mezzo alla recessione». E ora, con Saccomanni, rischia di trovarsi punto e da capo.