Controcorrente
Mughini: vorrei Amato premieranche se ci rapinerà con le tasse
di Giampiero Mughini Cari amici di Libero, l’Italia ha bisogno di un governo possibile come e più dell’aria che respiriamo. Ho detto governo possibile non «governo del cambiamento», espressione che va bene per gli allocchi plaudenti. Un governo che ci aiuti a reggere la bufera della crisi economica. La rielezione di Giorgio Napolitano a capo dello Stato aiuta enormemente questa ipotesi. Perché un governo possibile nasca, occorre dunque la fine del «tiro a bersaglio» sui candidati possibili, sport che noi italiani degli ultimi mesi sappiamo praticare alla grande, e non faccio nomi e casi perché altrimenti questo articolo diventerebbe un tomo da enciclopedia. Le risorse della Repubblica in questo momento non sono molte. I nomi possibili sono pochi. Giuliano Amato, di cui sono stato amico e complice intellettuale in quel laboratorio del “riformismo” italiano che era stato il Mondoperaio degli anni Settanta-Ottanta, è uno di questi. E sempre che il partito in questo momento più lacerato d’Italia, quel Pd che un tempo era marchiato da Palmiro Togliatti e poi da Enrico Berlinguer e che è oggi è marchiato solo dai clan fratricidi, gli perdoni la sua macchia genetica, di essere stato a lungo il braccio destro di Bettino Craxi. Io stimo come pochi Giuliano, e quei suoi libri scritti assieme al mio maestro Luciano Cafagna fanno parte dello scaffale essenziale della mia biblioteca. Ecco perché mi spiacciono molto i toni che su Libero sono molto avversi nei suoi confronti, Un tiro a bersaglio vero e proprio. Un atteggiamento che in questo momento io giudico esiziale. Naturalmente la premessa del mio ragionamento, del resto nota ai dieci-quindici lettori che su Libero scorrono le mie righe, è che un governo possibile nell’Italia dell’aprile 2013 sia quello cui dicano sì le forze politiche capitali del nostro Parlamento. Di certo il Pd, e ci mancherebbe altro; e poi il largo seguito elettorale rappresentato da chi ha votato il nome di Silvio Berlusconi; e poi i centristi attigui a Mario Monti. Questo l’unico governo possibile. E poi tutto dipenderà dalle poche cose imprescindibili che metterà nel suo programma nonché dai nomi dei ministri – tecnici e politici – responsabili di ciascun comparto dell’azione governativa. Se Napolitano indicasse Amato come il direttore d’orchestra di questa operazione, ne sarei felice. Perché alcuni di voi ce l’hanno a morte con il «Dottor Sottile»? L’argomento dei 31mila euro lordi mensili di pensione è risibile. La pensione o le pensioni di ciascuno di noi non sono donativi, sono dei calcoli. Se uno ha fatto più lavori e s’è pagato i contributi relativi a ciascuno di questi lavori, è ovvio che abbia una pensione per ciascuno di questi lavori. Io ho una pensione dell’Inpgi e una dell’Enpals perché ho fatto nella mia vita due lavori ben diversi, e ricevo in proporzione dei contributi che ho pagato. Amato è stato eccellente nei suoi lavori, da cui l’importo alto delle sue pensioni e senza dire che lui ne ha destinato in beneficenza una parte e usufruisce in realtà solo della metà di quei famosi 31mila euro lordi. Lo ripeto, è una discussione miserevole. Decisiva è invece quell’altra discussione, quell’altra ghigliottina mediatica che pende sul capo di Amato. Quella sua decisione repentina da capo del governo, e mentre le condizioni del bilancio pubblico del nostro Paese erano molto vicine a quelle di Cipro 2013, di prelevare lo 0,6 per cento dai conti correnti privati depositati nelle banche. Decisione che colpiva ciascuno di noi nel portafoglio, e che io approvai allora e approvo a tutt’oggi. E resto stupefatto che in un Paese come il nostro, dove il lavoro vivo e reale – e dunque la fatica e il talento reali – viene tassato al 52 per cento, e nel caso delle imprese ancora di più, diventi un’arma polemica la volta che il governo i soldi li prese alla disperata da chi li aveva in banca e magari ne aveva tanti. Soldi suoi e sacrosantemente suoi, beninteso. Soldi guadagnati, messi da parte, risparmiati. Tutto sacrosanto. Con un piccolissimo particolare. Il fatto che non c’è alcuna connessione in Italia tra le dichiarazioni dei redditi e la quantità di conti correnti privati il cui ammontare supera spesso i 500mila euro e talvolta sfiora il milione di euro. Un eventuale prelievo odierno dello 0,6 per cento su quelle sommette vi parrebbe scandaloso se paragonato al 52 per cento che lo Stato si porta via dal reddito di chi ha lavorato e meritato una domenica? Speriamo che di tutto questo non ci sia bisogno. Facciamo le corna. Solo che di qualcosa di doloroso ci sarà bisogno. Qualcuno si illude se a forza di togliere qualche centinaio di auto blu, di far pagare di più il caffè alla buvette di Montecitorio e fucilare sul posto tutti coloro che ricevono uno stipendio dall’ente pubblico chiamato Provincia, i conti italiani andranno a posto. Non è così. Abbiamo di fronte mesi e anni di pene, e le pene vanno chiamate col loro nome. Qualcuno mi obietterà che se sbagliare è umano (ed è ovvio che nella sua carriera politica Amato ha sbagliato più volte, ad esempio quando tardò a svalutare la lira), perseverare è diabolico. E questo mio ipotetico interlocutore farà riferimento alla volta, un anno e passa fa, in cui Amato propose di tassare di 30mila euro a cranio gli italiani più abbienti. Da brividi, sono d’accordo con voi. Solo che vi faccio una piccola obiezione. Sì o no la crisi economica sta distruggendo patrimoni e redditi di ciascuno di noi in misura ben maggiore di quei 30mila euro a cranio? Se avete una casa che vale 400 o 500mila euro e provate a venderla, non è che la vendete a 30mila euro in meno, non la vendete proprio. Non ci fate un euro. Perché non si muove foglia, perché questa è la crisi. E se non si muove foglia nell’edilizia, cadono posti di lavoro a centinaia di migliaia e chi guadagnava 30mila euro lordi l’anno non vede più un euro e non sa come arrivare a fine mese. Questa è l’Italia di oggi, questa è l’Italia in cui abbiamo bisogno di un governo come dell’aria che respiriamo. E in questa Italia vale di più il linguaggio di un Amato che chiama pane il pane, o le parole a vanvera di chi predica «il cambiamento» o di quel pagliaccio che ha definito «un golpe istituzionale» il fatto che 700 e passa parlamentari abbiano rivotato il nome di Napolitano quale presidente della Repubblica?