Il retroscena sul voto
Quirinale, così Bersani e Berlusconi hanno convinto Napolitano a restare
E' stato Pierluigi Bersani il primo a cospargersi il capo di cenere, inginocchiarsi col cappello in mano e chiedere a Giorgio Napolitano di restare al Quirinale. E' Marzio Breda, quirinalista del Corriere della Sera, a riportare le parole pronunciate dal segretario del Partito democratico sabato mattina, all'indomani del duplice fallimento delle altre due candidature "pesanti" per il Colle, Franco Marini e Romano Prodi, silurati dai franchi tiratori Pd. "Presidente, ci aspettiamo che lei ce le canti e ci dica che siamo tutti colpevoli, perché ce lo meritiamo. Avrebbe pienamente ragione, lo sappiamo bene. Ma, premesso questo, adesso la preghiamo di fare un altro passo di generosità e di voler riconsiderare la sua indisponibilità a una nuova dandidatura. Le domandiamo insomma di restare, l'Italia ha ancora bisogno di lei, un bisogno assoluto..." . Di fronte a queste parole disperate, e a pressing portato avanti anche da Silvio Berlusconi, Mario Monti e Bobo Maroni, Napolitano ha detto sì non prima di aver posto alcune condizioni. "Lo faccio per senso di responsabilità nei confronti dell'Italia, ma ora tutti i partiti devono rispettare i loro doveri". "Basta parlare di inciucio" - E quali sono, questi doveri? Innanzitutto, abbandonare i toni da campagna elettorale prolungata e mettersi ad un tavolo più di quanto non abbiano fatto già i 10 saggi. In sostanza: governo di larghe intese, con fianco a fianco Pd, Pdl e Scelta civica. Riforme istituzionali (da quella della legge elettorale a quella, sempre più probabile e obbligata, del presidenzialismo), misure a favore delle imprese, conti pubblici in regola. Quello che doveva fare il governo tecnico e che la squadra di Monti ha fatto in minima parte. Presto, entro il 25 aprile, ci dovrebbe essere la nomina dei nuovi ministri dopo un giro di consultazioni lampo. In attesa dei nomi, secondo Francesco Verderami del Corsera il ri-presidente Napolitano ha consegnato un dossier ai partiti: il frutto del lavoro dei 10 saggi e un ordine perentorio, "basta chiamare le larghe intese inciucio".