Attenti al portafogli
Amato prenota Palazzo Chigi: da premier manovra e riforma elettorale
di Fausto Carioti C’è voluto qualche giorno, ma alla fine si è capito a cosa serviva il gruppo di dieci saggi, in quote equamente ripartite tra Pd, Pdl e centristi, voluto tre settimane fa da Giorgio Napolitano. Doveva scrivere il programma per il governo del presidente, che nominalmente dovrebbe essere guidato da Giuliano Amato o Enrico Letta (con il primo in pole position, sia perché dotato di più robusta caratura istituzionale, sia perché più gradito al Pdl). Napolitano conta di dare l’incarico in tempi brevi, se possibile già mercoledì. Tanto le consultazioni vere le ha fatte ieri, spiegando a Pier Luigi Bersani che o il Pd faceva il governo con Pdl, oppure il presidente della Repubblica se lo andavano a prendere altrove. Gli stessi saggi possono considerarsi sin d’ora, più o meno tutti, ministri in pectore: di Luciano Violante, ad esempio, si parla già come del prossimo Guardasigilli. Napolitano ha così dato alla Casa Bianca e alle altre cancellerie le garanzie che erano state chieste all’Italia: suicidatosi Mario Monti e mai decollato sul serio Massimo D’Alema, restavano solo il suo nome e quello di Amato a rassicurare Washington, Berlino e Bruxelles (nonché il Vaticano). Missione compiuta. Dunque, c’è già il programma di governo, o qualcosa che gli assomiglia molto; c’è il possibile premier; c’è la benedizione internazionale; c’è la bozza della squadra dei ministri; c’è persino la maggioranza che dovrebbe sostenere l’esecutivo: quella che ha votato la rielezione di Napolitano, con l’esclusione della Lega, dovuta alla volontà di Roberto Maroni di restare con le mani libere. C’è anche un vincitore assoluto della partita, ed è Silvio Berlusconi, che sulla riconferma di Napolitano e un governo simile avrebbe messo la firma già il 25 febbraio. Il problema è proprio questo: la conventio ad excludendum verso il Cavaliere e la sudditanza di una larga quota del Pd nei confronti della piazza, ben riassunta dal moderato Giacomo Portas: «Ci sono ragazzi eletti con 700 voti alle primarie che passano la giornata davanti a Twitter, si spaventano per tre messaggi e non danno più retta a nessuno». Una classe politica del genere è in grado di reggere un governo guidato da Amato (candidato numero uno di Berlusconi per il Quirinale) o Enrico Letta e che magari schiera come ministro Angelino Alfano? Quanti nel Pd condividono la tentazione di Fabrizio Barca di arroccarsi a sinistra con Nichi Vendola, a contendersi i voti con i grillini? Da queste risposte dipenderà la riuscita dell’esecutivo voluto da Napolitano. Gli obiettivi del governo saranno sostanzialmente due. Il primo sarà la difesa dei conti pubblici, che presto potrebbe imporre una nuova manovra, auspicabilmente abbinata a un intervento per scongiurare l’aumento dell’Iva (dal 21 al 22%) destinato altrimenti a scattare il primo luglio. Insomma, solita equazione per coniugare rigore e crescita, ai limiti dell’impossibilità. Il secondo obiettivo sarà la revisione della legge elettorale. Napolitano non si fa illusioni: prevede un rapido il ritorno alle urne e intende fare di tutto per evitare che questo avvenga con il Porcellum. A dicembre, poco dopo aver sciolto le Camere, disse che «il fatto imperdonabilmente grave è stato il fallire la prova della riforma della legge elettorale». Adesso ci riproverà. Il documento elaborato dai saggi prevede di abbinare la riscrittura della legge elettorale a una complessa riforma istituzionale. Un disegno incompatibile con i tempi stretti e la maggioranza traballante. Si punterà quindi a una semplice revisione delle regole del voto, per legare la concessione del premio di maggioranza al raggiungimento di una soglia (come chiesto dalla Consulta) e reintrodurre le preferenze. Un intervento utile anche per evitare che il M5S, beneficiando dello sfaldamento del Pd, ottenga, grazie al generoso premio concesso dal Porcellum, la maggioranza assoluta dei seggi di Montecitorio. Se il governo non nascerà, o si rivelerà incapace di andare avanti, a Napolitano – che da adesso può sciogliere nuovamente le Camere - non resterà che dichiarare chiusa la breve e triste esperienza della XVII legislatura e far tornare gli italiani alle urne. Forse già a giugno. In questa direzione spingono sia i numeri dell’attuale Parlamento, sia la disgregazione del Pd, ormai ingestibile e inaffidabile, sia - infine - la volontà di Berlusconi, che non pare spaventato dai grillini e vuole approfittare della fine dei democratici per trarre il massimo vantaggio possibile in termini di voti e di seggi. Al punto che potrebbe limitarsi a dare un appoggio esterno all’esecutivo, riservandosi così ampi spazi di manovra. Ma anche se il tentativo di formare il governo dovesse riuscire, il problema della stabilità precaria resterebbe, e una volta esaurita la breve lista delle cose da fare non rimarrebbe che chiamare gli italiani a votare. La data del 25 maggio 2014, giorno delle elezioni europee, pare messa lì apposta.