Il piano b
Colle, ecco perché D'Alemanon è ancora fuori dai giochi
Ci sarebbe un accordo. Dopo le promesse, Pier Luigi Bersani sarebbe a un millimetro dall'intesa con il Pdl su un nome condiviso al Quirinale. L'indiscrezione è stata rilanciata dall'agenzia di stampa Agi, ma ancora non si trovano conferme. Azzurri e democratici, però, avrebbero trovato una convergenza. Le trattative poi si sono tinte di giallo: prima la voce sulla "rosa" di nomi presentata da Bersani a Silvio Berlusconi (Giuliano Amato, Massimo D'Alema e Franco Marini). Quindi la smentita di Largo del Nazareno: "Nessuna rosa è stata presentata a Berlusconi. Si ragiona da giorni su diverse possibilità con tutte le forze parlamentari per arrivare a un nome largamente condiviso". Altre voci parlavano sì d'intesa, ma su un "nome nuovo": non Amato né D'Alema (ma anche su questo per ora non è arrivata alcuna conferma). Per certo, il "papabile" su cui sarebbe vicino l'accordo è gradito anche a Scelta Civica. Il nome rimarrà "coperto fino a ridosso delle votazioni". Potrebbe anche trattarsi di quell'"asso nella manica" di cui aveva parlato la portavoce di Bersani, Alessandra Moretti. Potrebbe anche essere un nome nuovo, ma l'ipotesi negli ultimi minuti sembra aver perso quota. Più probabilmente sarà, almeno nei primi tre turni di voto, proprio Franco Marini (Giuliano Amato pare bruciato: troppe divisioni sul suo conto e rischia di non essere eletto). L'ipotesi dell'ultimissimo minuto è quella di Sergio Mattarella: anche questo nome sarebbe stato proposto da Bersani a Berlusconi. Il Cav si è riservato di rifletterci. I numeri - Il quadro è però complicato. Il nome dell'accordo - Marini o Mattarella per l'appunto - potrebbe essere poco più di facciata. Non tanto perché Pd e Pdl non vogliano puntare su di loro (anche se l'elezione di Marini rischierebbe di far collassare un Pd già ben oltre il limite della crisi di nervi), ma perché uno di loro dovrebbe essere eletto entro i primi tre turni (se l'esito delle prime tre tornate fosse negativo sarebbe bruciato). Marini o Mattarella, insomma, potrebbero essere candidati da bruciare per arrivare alla quarta votazione ed eleggere agevolmente quello che, dopo l'uscita di scena di Amato, resterebbe il favorito d'obbligo: Massimo D'Alema. Numeri alla mano, lo scenario risulta abbastanza chiaro. Centrosinistra, centrodestra e montiani, tra Camera e Senato (che da giovedì votano in seduta comune) dispongono in totale di 777 voti. Nei primi tre turni di voto per l'elezione del Presidente della Repubblica serve il consenso di due terzi degli aventi diritto: la quota "magica" è quella di 672 voti. Si tratta di 105 voti in meno di quelli teoricamente disponibili. Ma in quei 777 voti c'è di tutto: renziani, dalemiani, veltroniani, bersaniani, giovani turchi, Lega Nord, formattatori, pasionari alla Santanchè, montiani, Udc, Tabacci, vendoliani. In quel "triplo sette", insomma, c'è tutto e il contrario di tutto. E' semplice ipotizzare che 105 voti possano dissentire sull'accordo, che come detto sarebbe arrivato sul nome di Marini. L'accordo 2.0 - Pier Luigi Bersani e Silvio Berlusconi lo sanno. Sono consci del fatto che il loro accordo sul primo nome potrebbe essere poco più che effimero. Infatti il vero accordo è quello che potermmo definire "accordo 2.0", ed potrebbe essere stato raggiunto sul nome da scegliere dal quarto voto in poi. Insomma dopo aver bruciato il candidato condiviso che affermano di aver trovato. A quel punto, pur di scongiurare l'elezione di Romano Prodi (o chi per lui: un qualunque candidato sgradito e non condiviso), come detto, rientrerebbe in campo D'Alema (terzo incomodo, Luciano Violante). L'accordo Pd-Pdl, in definitiva, si articola su due livelli. Il primo, puntare su Marini o Mattarella per preservare altri nomi. Il secondo, dopo aver "bruciato" i primi due, salvarsi in corner con Baffino (che nei primi tre turni di voto non avrebbe chances di essere eletto).