Faccia a Faccia
Bersani incontra Monti per trovare un'intesa sul Quirinale
di Brunella Bolloli La birra in compagnia in un locale romano è un vecchio ricordo. Anche gli sms affettuosi sono stati cancellati senza rimpianti. La bacchettata di Matteo Renzi al segretario del Pd Pier Luigi Bersani, non è piaciuta al leader del partito già all’angolo per il pre-incarico fallito, commissariato (lui preferisce «assorbito») dai dieci saggi, soggetto a continue umiliazioni da parte di Beppe Grillo. Bersani se ne fotterà pure dell’orgoglio, come canta il suo idolo Vasco Rossi, ma intanto, ieri, ha preso atto che la lotta per la leadership dei democratici è realtà. Il sindaco di Firenze non aspetterà a lungo a palazzo Vecchio e, anzi, ha fatto capire forte e chiaro che lui è pronto per la sfida alla vecchia guardia Pd, che neanche sei mesi fa lo ha sconfitto alle primarie. La replica di Bersani agli attacchi del rottamatore è scontata: hai la stessa linea di Berlusconi, ha tuonato l’uomo di Bettola, dichiarando ufficialmente aperte le ostilità, con le sue truppe schierate da una parte e quelle del sindaco fiorentino da quella opposta. Il segretario, a microfoni accesi, si è limitato a un gelido «siamo qua», irremovibile sul suo progetto, ma i rumors dal Nazareno dicono che il mancato smacchiatore di giaguari si stia preparando al duello per la premiership, perché se Renzi si vuole accomodare e fare il governo con il Pdl, vada da solo: non è la linea scelta dal Pd. «Noi facciamo le cose alla luce del sole». Un’accusa di intendenza con il nemico che per il sindaco, già oggetto di critiche quando è andato ad Arcore ad incontrare il Cav «altro non è che la visione di fantasmi». In realtà, il vero oggetto dello scontro non è tanto l’intesa con il Pdl di Silvio Berlusconi, ma soprattutto il metodo con cui sarà scelto il Capo dello Stato e poi, di conseguenza, le mosse per il governo. Bersani ha avviato contatti e incontri, ieri con il presidente del Consiglio in carica Mario Monti, per trovare «un’ampia condivisione» sul candidato per il Quirinale. E sono già in piena attività i mediatori Pd-Pdl (per Bersani Errani e Migliavacca, che si sono già incontrati con Denis Verdini nei giorni scorsi), in vista di un incontro con Berlusconi, la cui data al momento non è ancora stata fissata. Ma, a quanto si apprende, Renzi teme che Bersani non voglia veramente un accordo ma punti ad eleggere un presidente della Repubblica, a lui vicino, come ad esempio Romano Prodi, che gli dia l’incarico per andare alle Camere e provare a formare un governo, puntando ad allargare i dissidi interni al Movimento Cinquestelle. Il tutto, nonostante contro il nome Prodi, ci siano almeno 120 tra senatori e deputati democrats, pronti a mettere nero su bianco il proprio dissenso. Non solo. Non è un mistero che gli ex Popolari vogliano Franco Marini per il dopo Napolitano, anche se da soli non hanno i numeri per farlo passare. E neppure le ipotesi di Giuliano Amato e Massimo D’Alema sembrano essere risolutive per sbloccare lo stallo e assicurare a Bersani quel «doppio binario» a cui tiene tanto. Una strategia che Pier Luigi si ostina a presentare anche alle altre forze politiche e che prevede «niente governissimo con il centrodestra», ma intesa con il “nemico” su alcune riforme fondamentali. Finora, però, il suo «doppio binario» non è piaciuto troppo a tanti big del Pd. Dai liberal come Enzo Bianco all’ex segretario Veltroni, che ha sollecitato la nascita di «un governo di scopo con personalità accettate da tutti». E intanto si allarga il fronte dei renziani che trascina Bersani più all’angolo. «Non sono un cultore del renzismo, ma l’intervista di di Renzi a Cazzullo non fa una piega», ha buttato là Marco Follini su Twitter. Se poi pure i giovani turchi alla Matteo Orfini cominciano a prendere le distanze dal segretario, significa che i problemi in casa Pd sono parecchi. I fedelissimi continuano a fare quadrato attorno a Bersani, che forse comincia a sperare che l’incontro con il Cav possa essere per lui l’ultima speranza di successo.