Il declino del segretario
L'utile idiota di Napolitano:il triste destino di Bersani
di Franco Bechis Giorgio Napolitano inizierà questa mattina le consultazioni con l’idea di trovare quella intesa che Pierluigi Bersani non è stato capace di tessere. Inizierà proprio da quel Pdl che il presidente del Consiglio incaricato ha trattato come un partito di appestati. Ma lo farà con una pistola nella fondina più o meno carica. Più o meno perché quella pistola risponde al fantasma di Bersani, che con una decisione atipica ieri è restato in piedi anche in uno dei giorni peggiori della sua vita. Per capire cosa farà Napolitano, bisogna addentrarsi- e non è facile - fra le anomalie dell’incontro di ieri e nelle righe delle scarne dichiarazioni ufficiali successive. Il primo fatto emerso è che un incontro di oltre 70 minuti è segno di grande burrasca, di un braccio di ferro che si è protratto a lungo fra i due. Bersani è arrivato a mani vuote, ammettendo di non potere consegnare al capo dello Stato quei numeri certi che venivano richiesti. Ha accennato al canale di trattativa che si era aperto con il Pdl la sera prima, spiegando però di avere ritenuto inaccettabili le condizioni poste su una pubblica intesa per l’elezione di un nuovo presidente della Repubblica scelto da Silvio Berlusconi. Il segretario del Pd ha sostenuto di avere qualche possibilità di giocarsi la partita in Parlamento se Napolitano lo avesse mandato a chiedere la fiducia. Il Capo dello Stato è sembrato subito irremovibile. In queste ultime ore aveva già verificato personalmente per le vie brevi informazioni che venivano fornite da Bersani trovandole del tutto inattendibili. A quel punto il premier incaricato ha indossato i panni del capo della coalizione di centro sinistra sostenendo che nessun’altra ipotesi da mettere in campo avrebbe comunque avuto più chance di Bersani premier. Come dire: guarda che noi comunque bocciamo qualsiasi altra soluzione, che quindi non avrebbe i numeri per partire. Lo scontro - che secondo indiscrezioni ha avuto toni assai aspri (al Quirinale ricordavano fulmini e tuoni di questo tipo solo durante l’incontro con Berlusconi post bocciatura del lodo Alfano)- si è concluso con quel che tutti abbiamo appreso nei comunicati e nelle dichiarazioni ufficiali. Bersani non ha rinunciato all’incarico, e Napolitano lo sostituisce domani in un nuovo giro di consultazioni. Facile comprendere perché il segretario Pd abbia imposto questa condizione anomala: gli consente di cadere in piedi, di non sprofondare ulteriormente nell’umiliazione patita in questi giorni, e forse anche mantiene viva la speranza di tenere nelle sue mani le redini del partito. Più difficile capire perché Napolitano abbia consentito a Bersani questo strano congelamento nel pre-incarico ricevuto. E la spiegazione potrebbe proprio essere quella pistola: il Bersani congelato consente a Napolitano di proporre oggi ai partiti altro, spiegando che però quella sarebbe l’ultima spiaggia per fare sopravvivere la legislatura. Di fronte a un no lui sarebbe costretto a mandare Bersani davanti alle Camere: si schianterebbe, certo. Ma resterebbe in carica grazie alla fiducia che otterrebbe alla Camera dei deputati, e gestirebbe lui il percorso verso le elezioni. Ipotesi questa che forse può creare qualche preoccupazione nel Pdl (mica tante però: in caso di elezioni Berlusconi avrebbe acceso qualsiasi cero pur di avere come avversario principale un Bersani premier per finta), ma certamente ne crea nel Pd: dopo tanti schiaffi quel partito non riuscirebbe nemmeno a liberarsi dell’uomo che li ha portati così a fondo. Questa fragilità interna al Pd ieri traspariva anche dalle parole stesse di Bersani, quando uscendo con la faccia nerissima dall’incontro ha spiegato che le difficoltà derivavano «dalle preclusioni» (quelle M5s, oggettive) o «da delle condizioni che io non ho ritenuto accettabili». Ecco, quel «io non ho ritenuto», indica evidentemente che qualcun altro non ha la stessa sua opinione. Forse lo stesso Napolitano. Forse - ed è l’ipotesi più insidiosa per Bersani- quella diversa opinione sulla accettabilità o meno delle condizioni poste del Pdl alberga invece in parti rilevanti del Pd. Questo è lo spazio in cui oggi si infilerà Napolitano: è possibile che il Pd spinga Bersani ad accettare un altro premier e altre soluzioni? Se sì, i nomi sul tavolo sono quelli fatti in questi giorni: il direttore generale della Banca di Italia, Fabrizio Saccomanni, qualche vecchia volpe della prima Repubblica come Giuliano Amato o Franco Marini, il presidente del Senato, Piero Grasso o qualche ministro del governo oggi in carica come Anna Maria Cancellieri o Fabrizio Barca (il solo che sarebbe digeribile da Bersani). Entro questa sera sapremo se le condizioni ci saranno e quale nome avrà avuto il via libera da Napolitano. Se continuerà il muro contro muro, saranno inevitabili le elezioni a giugno. E non è escluso che per favorirle Napolitano compia il solo passo in suo potere: lasciare il Quirinale prima del tempo, per fare eleggere il suo successore.