Lo scenario anti-cav

Bersani è finito al tappeto: ora medita la vendetta contro Silvio Berlusconi

Andrea Tempestini

  di Andrea Tempestini @antempestini In uno scenario fluido, aperto a ogni soluzione, a poche ore dalla salita al Colle di Pier Luigi Bersani c'era un'unica certezza: i numeri per la fiducia al Senato non ci sono. Improbabili i colpi di scena dell'ultimo minuto: nessun rumor indica che il segretario del Pd abbia strappato "accordicchi" o intese da presentare al Capo dello Stato (magari contando sull'uscita dall'aula di questa o quella forza politica) . A questo punto è da escludere un cambio di rotta sia del Pd sia del Pdl. Gli azzurri, è noto, hanno chiesto il dialogo sulla nomina del prossimo presidente della Repubblica, ma Bersani ha escluso ogni tipo di trattativa, spiegando che il problema dell'inquilino del Colle è secondario a quello della formazione di un governo. Ha tenuto la barra dritta, fino all'ultimo, fino a schiantarsi. La buona volontà del Pdl non è mancata: la richiesta era quella di un presidente della Repubblica di garanzia. Oltre ai nomi fatti trapelare dagli azzurri - quello di Gianni Letta prima, quello di Marcello Pera poi - non sono mancate investiture meno "schierate", partendo da Massimo D'Alema, passando per la riconferma di Giorgio Napolitano (esclusa dal diretto interessato) e fino a Pietro Grasso, un terzetto di papabili non sgraditi al Pdl. La convergenza pareva possibile solo sul nome dell'ex procuratore nazionale antimafia, ma la sua gestione della querelle con Marco Travaglio lo ha subito bruciato. Si era venitlato come potabile anche un accordo sul nome di Mario Monti, ma il caos innescato dalle dimissioni di Giulio Terzi per la malagestione del caso marò hanno indebolito a tal punto le quotazioni del Professore da non renderlo più un nome spendibile per il Qurinale (e in questa operazione, un ruolo il Pdl potrebbe averlo avuto). Bersani, da par suo, è scottato. Ha provato ad aprire al Movimento 5 Stelle e ha ricevuto soltanto porte in faccia e insulti. Il segretario ha sempre rifiutato la mano tesa del Pdl e ora si ritrova all'angolo. Difficile che Napolitano gli conceda la possibilità di chiedere la fiducia in aula. Più probabile, al contrario, che Bersani chieda altro tempo, una sostanziale proroga alle consultazioni. Il Capo dello Stato, però, non sembra intenzionato a concedere altre ore al Pd: i segnali di nervosismo dei mercati, le altalene a Piazza Affari e la salita dello spread indicano che altro tempo non può essere sprecato. Bersani, in definitiva, salirà al Colle e ci andrà a sbattere. Potrebbe perdere il preincarico e archiviare la sua carriera politica con un roboante fallimento: il sentiero strettissimo di cui ha parlato nelle ultime settimane si sarebbe rivelato impercorribile. Tutto può cambiare nell'arco di pochi minuti, con qualche telefonata, con una mezza apertura. Ma i margini sono ridottissimi. Il Pd, hanno riferito fonti di via del Nazareno, avrebbe rilanciato la disperata trattativa col Pdl proprio nelle ultime ore. Si discute, ovvio, ancora di Quirinale. Bersani avrebbe rilanciato con una nuova rosa di nomi: Franco Marini, Giuliano Amato e Giuseppe De Rita. Silvio Berlusconi avrebbe respinto la richiesta al mittente, insistendo sul nome delle ultime ore: quello di Marcello Pera, appunto. Lo stallo è totale. A far precipitare la situazione potrebbe essere il definitivo "gran rifiuto" di Napolitano, pronto a sottrarre lo scettro di premier in pectore a Bersani per esplorare la via di un governissimo presieduto da una figura terza oppure quella del cosiddetto governo del presidente. Soltanto se Napolitano concedesse altro tempo a Bersani, tra Pd e Pdl potrebbe riprendere quota la trattativa sul Colle, proprio su quegli ultimi tre nomi snocciolati dai democratici. In caso contrario, ogni canale di comunicazione verrebbe interrotto. Certo, i due partiti per forza di cose si troverebbero a collaborare per la formazione di un esecutivo, qualsiasi forma esso abbia (improbabile, infatti, l'immediato ritorno alle urne, osteggiato da Napolitano). Ma sul Quirinale la partita sarebbe chiusa e Bersani, proprio sul presidente della Repubblica, vorrebbe consumare la sua vendetta, la ripicca dello sconfitto. Berlusconi teme proprio questo scenario. Una volta rotti gli argini, pur senza un effettivo dialogo col Movimento 5 Stelle, il Pd avrebbe gioco facile ad insediare al Quirinale uno dei nomi più invisi al Cav. Tre su tutti: il costituzionalista Gustavo Zagrebelsky, il giurista Stefano Rodotà (secondo i "toto-nomine", in questa fase della politica italiana, buono per tutte le poltrone), oppure Romano Prodi, i cui rapporti con il Pdl e Berlusconi sono ulteriormente degradati per gli sviluppi del caso De Gregorio. A quel punto, l'occupazione "militare" denunciata dall'ex premier delle cariche istituzionali sarebbe compiuta (il tutto condito da quello che è stato unanimemente definito il "Parlamento più manettaro della storia"). La data in cui inizieranno i lavori per l'elezione del prossimo presidente della Repubblica è fissata per il 15 aprile. Facile ipotizzare che per quel giorno ancora non avremo un governo. Nella polveriera-Italia, nella bagarre politica in cui cresce lo "scoramento" democratico, il Pd potrebbe togliersi la "soddisfazione" di tendere l'ultima trappola al Cavaliere. Chi potrebbe sparigliare ancora una volta le carte sarebbe proprio Giorgio Napolitano. Difficile, quasi impossibile, ma preso atto dell'impossibilità di formare un governo con Bersani premier, potrebbe decidere a sorpresa di dimettersi. Per prima cosa, passerebbe il "cerino" per la formazione di un esecutivo in mano al suo successore (da eleggere). Ma soprattutto costringerebbe il nuovo Parlamento a subordinare la formazione di un esecutivo all'elezione del nuovo Presidente della Repubblica. E gli scenari potrebbero mutare nuovamente.