Loden a pezzi

I disastri di Monti & tecnicici devasteranno per molti anni

Ignazio Stagno

di Ugo Bertone Gli ordinativi per l’industria dell’auto italiana sono scesi, a gennaio del 28 per cento, informa l’Istat. Non c’è da stupirsi visto l’andazzo della congiuntura europea. C’è da stupirsi, però che a fronte di numeri del genere, la Commissione Ue abbia rinviato l’incontro con i nuovi vertici giapponesi, già previsto per lunedì scorso.  Dovete capirci,  hanno spiegato in una telefonata  i cervelli che guidano l’Europa, siamo in  un’emergenza a Cipro.  Il governo di Tokyo, che ha accelerato le trattative per un’area di libero scambio con gli Usa e un’altra con la Cina,  probabilmente ha capito che l’Europa di oggi non è una squadra, ma un mosaico di Paesi in cui qualcuno conta, altri meno o niente.  E l’Italia, in particolare, meno di niente.  Il premier italiano, Mario Monti, partito con le credenziali di mister Europa, ha fatto sentire la sua voce  Cipro solo ad accordo concluso. E forse avrebbe fatto meglio a tacere perché, mentre lui magnificava la soluzione per il «caso particolare» di Cipro, il presidente dell’Eurogruppo spiegava alle agenzie che il «metodo Cipro» andava bene pure per l’Italia. Oltre al danno la beffa, verrebbe da dire, perché l’Italia non solo è la vittima più bersagliata sui mercati dopo l’affondo su Cipro di mister Dijsselbloem, ma per il salvataggio di Nicosia ha messo sul piatto circa 750 milioni, non molto meno della stessa Germania. Ma molto di più di Olanda o Finlandia, che tanto disprezzano le cicale mediterranee. Insomma, c’è qualcosa che non quadra. A  casa nostra, soprattutto.  Non passa giorno senza che qualche record da Guinness dei primati (alla rovescia) impreziosisca il palmares dell’esecutivo Monti. Ieri è stata la volta dei consumi in caduta verticale, anche nei discount.  Com’era inevitabile, visto che i salari italiani al netto delle imposte sono al ventiduesimo posto tra i paesi Ocse.  Per trovare l’Italia in cima alle classifiche bisogna guardare alla disoccupazione giovanile (siamo terzi) e alla pressione fiscale (qui non ci batte nessuno).   Ancora più impressionanti i numeri sulla produzione industriale: a gennaio un nuovo calo, il 3%, che  sa di catastrofe, se si  considera che il Bel Paese parte da meno 7: tanti quanti sono i punti di prodotto interno lordo perduti dall’inizio della crisi. Tra i numeri, spicca  la discesa a picco degli ordinativi, altri 3 punti in meno  rispetto a un anno fa, a garanzia del fatto che non solo  la ripresa, più volte prevista e promessa da Mario Monti e dal ministro dell’Economia Vittorio Grilli,  non ci sarà. Ma che le cose andranno senz’altro  peggio nel prossimo futuro. È un giudizio ingeneroso, possono obiettare i non molti supporter rimasti al premier. Grazie alle dosi massicce di austerità fiscale, l’Italia oggi ha in conti (quasi) in ordine. E quest’anno la spesa per interessi potrebbe essere assai più bassa. Ma il condizionale è d’obbligo. Ci eravamo illusi che l’austerità sarebbe stata compensata dalla maggior generosità dei partner, disponibili a mettere in campo risorse comuni per gli investimenti, di fronte al taglio del deficit e al miglior fabbisogno primario del pianeta.  Ci eravamo illusi che  lo sforzo per tenere in ordine i conti delle banche (più puliti di molti istituti tedeschi salvati dallo Stato, come Commerzbank) ci avrebbe messo al riparo da brutte sorprese. Al contrario, prendiamo atto che i nostri sforzi non sono serviti a nulla: lo spread torna a salire oltre i livelli di guardia, sull’onda della crisi di Cipro, un’economia più piccola di quella delle Marche.  E non ci vuole la sfera di cristallo per capire che, tempo poche settimane, Piazza Affari, i Btp e le obbligazioni subiranno nuove tensioni per la crisi della Slovenia. A quel punto si consumerà  la vera beffa: cari italiani, per raggiungere gli obbiettivi di bilancio pubblico avete strangolato l’economia reale,  soprattutto negando alle imprese i soldi che lo Stato deve loro.  In questo modo avete affondato i bilanci delle vostre banche, costrette ad aumentare gli accantonamenti per sofferenze e incagli. Ora vi tocca pagare il conto. E non vi basterà perché, nel frattempo, buona parte della vostra industria sarà fallita.  Niente di nuovo: già Keynes aveva spiegato che «troppa virtù fa male all’economia». Perciò, speriamo che Mario Monti vada a predicare la virtù da qualche parte, ove non crei danni.   Noi, oltre a Cipro e alle esigenze elettorali  della signora Merkel,  dovremo occuparci anche di sviluppo e di futuro per i giovani. Intendiamoci: il passaggio è stretto. Ma, come ci insegna Tokyo, ci sarà pure un’alternativa al declino infinito. O almeno proviamoci.