Tutte le possibilità

Niente fiducia a Bersani:ecco tutti gli scenariMa se invece la Lega...

Andrea Tempestini

  di Andrea Tempestini twitter @antempestini Giovedì, forse venerdì, Pier Luigi Bersani salirà al Colle e presenterà a Giorgio Napolitano l'esito delle consultazioni. I voti, sulla carta, non ci sono. Da questo punto di vista il quadro sembra chiaro. La speranza del Pd è quella di riuscire a strappare una rosicata fiducia in aula (come spieghiamo nell'articolo, potrebbe dimostrare al Capo delo Stato di avere circa 150 voti, 8 in meno rispetto a quelli necessari per varare un governo). Il punto è che Napolitano potrebbe non conferire un mandato pieno a Bersani. Ragioniamo però per ipotesi, e supponiamo che il presidente della Repubblica - di fatto contraddicendo le sue stesse richieste sui "numeri certi" - permetta a Bersani di sottoporre la sua proposta al voto dell'aula. A questo punto si aprirebbero diversi scenari, il cui esito però - ad oggi - pare essere sempre uguale: niente fiducia (eccezion fatta per un caso di cui vi diamo conto, in cui il Pd ce la potrebbe farcela grazie alla "non sfiducia" della sola Lega Nord). Voti certi - Partiamo dai numeri certi. Come detto, l'asticella è fissata a 158 voti. In Senato ci sono 319 scranni occupati: 315 eletti, 4 senatori a vita. Giulio Andreotti, senatore a vita, da mesi non partecipa alle sedute; Pietro Grasso, presidente dell'emiciclo, per prassi non vota. Ne consegue che per ottenere la fiducia il Pd deve racimolare 158 voti. I "sì" certi sono 122: 108 senatori del Pd, 7 di Sel (formalmente nel gruppo Misto), 7 degli autonomisti sud-tirolesi e socialisti. Al pallottoliere mancano 36 sfere. Ed è qui che si aprono diverse strade, quei "sentieri stretti" di cui parlava Bersani e che appaiono, a dirla tutta, più che stretti impercorribili. I montiani - Per semplificare il ragionamento possiamo ipotizzare che la pattuglia montiana al Senato, che vuole un governo "ad ogni costo", accordi la propria fiducia ai democratici: fanno 21 voti (20 eletti, più il senatore a vita Mario Monti). Per semplificare ulteriormente, diamo per scontato che Emilio Colombo e Carlo Azeglio Ciampi, altrettanto Senatori a vita, votino a sinistra. Mancano comunque 13 voti.  Il Gal - Nel migliore dei mondi possibili - per Bersani - 10 di questi 13 voti potrebbero arrivare dal neonato Gal, Grandi autonomie e libertà, un gruppo parlamentare nato subito dopo il voto, quando era chiaro il quadro di ingovernabilità, e per questo subito additato da più parti come la prova provata dell'inciucio Pd-Pdl. Possibile. Ma allora perché non fare le cose "per bene"? Di voti ne mancano comunque tre. Inoltre, il fatto che il Gal (composto da 7 eletti col Pdl, 2 con la Lega e l'unico eletto di Grande Sud) accordi la fiducia a Bersani è tutto da verificare. Il calcolo di Bersani potrebbe essere stato il seguente: scontato che mi voteranno la fiducia tutti, esclusi M5S e Pdl, tre voti li potrei strappare ai grillini dissidenti. Una "logica" traballante.  La proposta - Ma è una volta terminato il mero conteggio numerico - come dimostra l'evidenza delle cifre, foriero di poche possibilità per Bersani - che si aprono gli scenari più appassionanti. Tutto ruota intorno a chi abbandonerà l'aula del Senato nell'ipotetico momento del voto di fiducia. Anche in questo caso riduciamo il novero delle possibilità: il Movimento 5 Stelle, infatti, ha deciso all'unanimità che non abbandonerà l'aula e voterà la sfiducia (fanno 53 voti contrari). Perché si raggiunga il numero legale, al momento del voto dovranno essere presenti in aula 160 Senatori. Bersani punta molto sull'uscita dall'aula del Pdl o della Lega Nord o di entrambe: è questa, di fatto, la "proposta" avanzata dal leader Pd ad azzurri e Carroccio nel corso delle consultazioni. Se Pdl (91 Senatori) e Lega Nord (16) uscissero dall'aula, il numero legale verrebbe raggiunto: al voto 212 senatori, e il Pd otterrebbe una maggioranza agevole solo con i suoi voti e quelli di Sel. Il punto, però, è che il Pdl non abbandonerà l'aula (Augusto Minzolini ha twittato: "Esistono soluzioni chiare. L'uscita da aula per far passare governo, non so se ipotizzata o meno, non è tra queste. Io comunque non esco). Bersani non offre alcuna contropartita politica al Pdl. Inoltre, la pattuglia grillina griderebbe all'inciucio (e non senza ragioni). Difficile ipotizzare che questa scommessa di Bersani possa essere vincente e che gli azzurri avallino il suo piano in cambio di nessuna contropartita. Fattore Lega - Nel caso in cui invece uscisse dall'aula soltamente la Lega Nord (Roberto Maroni ha confermato che l'ipotesi che il Carroccio esca è concreta), il Pd non otterrebbe la fiducia: i suoi voti, quelli del gruppo Misto e delle autonomie arriverebbero a 128 (ne servono 152). Fiducia possibile, al contrario, se a questi voti si sommassero anche i 21 di Scelta Civica e i 10 del Gal: la fiducia passerebbe con 159 "sì". Ma, va da sè, la strategia appare rischiosissima, anche se è quest'ultima ipotesi quella su cui il Pd conta di più (l'azzardo della Lega, però, si tradurrebbe per i "verdi" in feroci critiche dalla base, che vedrebbe l'operazione come una fiducia de facto al governo Bersani)  Nomi pesanti - In definitiva, Bersani potrebbe "strappare" la fiducia grazie alla Lega e a una serie di circostanze, oppure arrivare a "sfiorarla". In quest'ultimo caso gli mancherebbero dai 3 ai 10 voti, quelli che potrebbe ambire ad ottenere inserendo nel novero dei ministri nomi altisonanti e ai quali, immagina, alcuni grillini dissidenti non potrebbero dire di no (da Roberto Saviano a Milena Gabanelli, da Stefano Rodotà fino a Emma Bonino e Don Ciotti). Il pallino, ora, prima che a Bersani, passa però a Napolitano.