Il retroscena
Bossi vuole prendersi Tremonti per il nuovo partito del Nord
di Matteo Pandini Umberto Bossi medita lo strappo dalla Lega di Roberto Maroni, portandosi dietro Giulio Tremonti e qualche fedelissimo sparso sul territorio. È la situazione in casa Carroccio dopo l’affondo del Senatur contro «il culo largo» di Bobo, accusato di essere rimasto segretario nonostante la vittoria alle regionali. «Un culo, una sedia» spiegava Maroni prima del voto. Sono stati i colonnelli, alla presenza di Bossi, a chiedergli di restare al comando. Soprattutto i veneti Flavio Tosi e Luca Zaia, in lite tra loro ma convinti che senza Bobo il partito rischi la frattura. Fatto sta che da mesi il Senatur è in agitazione. Va dicendo in giro che se Bobo creerà davvero una Csu padana è pronto a lasciare. Ha chiesto un congresso straordinario per eleggere il nuovo segretario. A Pontida. Il 7 aprile, quando ci sarà il raduno sul pratone. Umberto è convinto che i militanti lo acclameranno per restituirgli lo scettro. Ufficialmente, Maroni ha chiuso la questione con un «ora basta», ricordando che solo il consiglio federale di lunedì scorso l’ha fatto restare al suo posto. Ieri Bossi non ha corretto il tiro, ma ha speso parole al miele per il solito Tremonti. Ha insistito per spedire Giulio al Quirinale, dopo averlo lanciato - durante la campagna elettorale - per un eventuale ministero dell’Economia e addirittura per palazzo Chigi. Proprio Tremonti è stata la chiave usata da Maroni per evitare lo strappo. Verso dicembre scorso, il Senatur meditava di creare un nuovo partito col professore di Sondrio. Quel che restava del cerchio magico spingeva per questa soluzione, ma Maroni era intervenuto per evitare spaccature a pochi mesi dal voto. Ha così imbarcato Tremonti, inserendo il suo nome nel simbolo del Carroccio alle Politiche e infilandolo come capolista al Senato in più di una regione. Scelta che non ha portato consensi ai padani, anzi... Bossi si agita a Roma ma non ha fedelissimi tra i parlamentari. Ha ancora qualche seguace sul territorio, per esempio a Varese. La segreteria provinciale ha deciso espulsioni e altre punizioni più lievi per più di dieci militanti, accusati di essersi disimpegnati in campagna elettorale. Addirittura, c’è il sospetto che alcuni di loro abbiano fatto voto disgiunto, dando il consenso al candidato governatore Umberto Ambrosoli anziché a Maroni. La ramazza ha risparmiato Busto Arsizio, patria del bossiano Reguzzoni: pare che le colombe maroniane abbiano avuto la meglio, scegliendo di limitare lo spargimento di sangue. Ma l’ex capogruppo alla Camera tuona: «Invece di fare autocritica vista l’enorme emorragia di voti, si declassano dieci militanti? Ma c’è una strategia dietro per azzerare completamente la Lega in provincia di Varese?». Maroni non parla volentieri della situazione. Preferisce dedicarsi alla giunta lombarda. Domani intende annunciarla ufficialmente, chiudendo le trattative col Pdl entro stasera. Il clima resta teso. La pace, come la guerra, bisogna farla in due.