Il libro-rivelazione
Il deputato Pdl: "Quando Fini provò a comprarmi"
Pubblichiamo uno stralcio del libro Compagni di camera. Il «reality» segreto di una legislatura, di Giancarlo Mazzuca (Minerva Edizioni, p. 159, euro 15.00). di Giancarlo Mazzuca [...] Lo confesso, quando nel 2008 ho occupato il mio scranno, lassù nell’ultima fila, ad un passo dal cielo, non potevo immaginare che il bilancio della sedicesima legislatura sarebbe stato così deludente. La Casta ha dato un’immagine di sé spesso fallimentare, per non dire, a volte, vergognosa, ricevendo, in cambio, dai cittadini insulti e discredito. Eppure, a differenza di quanto si è letto sui giornali, il ruolo degli onorevoli è lievemente cresciuto negli ultimi mesi della legislatura, proprio in coincidenza con la nascita dell’esecutivo dei tecnici. Il tuo voto non era più così determinante, come ai tempi del governo Berlusconi, quando, in seguito alla defezione di Fini e dei suoi fedelissimi, ogni volta poteva succedere il ribaltone. Con l’ampia maggioranza su cui poggiava il governo dei professori, noi «peones» ci sentivamo meno obbligati a seguire pedissequamente gli ordinidi scuderia: se non eravamo d’accordo su qualche articolo di legge, abbiamo avuto maggiori possibilità di dissociarci dalla linea del gruppo. In dirittura d’arrivo, poi, i deputati, conoscendosi meglio, hanno potuto anche votare sulla base della personalità di quelli che presentavano un certo emendamento o un dato ordine del giorno. Insomma, hanno, finalmente, cominciato ad avere qualche peso il nome e il «background» di ciascun parlamentare. È stato, invece, spesso mortificante scorrere l’elenco dell’esecutivo dei tecnici dove non c’era neppure un eletto, così come è apparso avvilente dover solo ratificare quanto i professori avevano già deciso, con continui voti di fiducia e con provvedimenti praticamente blindati. Diverso, invece, il discorso sulla compravendita di deputati: c’è stato un periodo, subito dopo l’uscita di Fini dal Pdl, in cui i parlamentari erano scambiati a peso d’oro, non certo per le loro capacità e qualità intrinseche: volevano solo perché il loro voto poteva essere decisivo per spostare l’ago della bilancia da una parte all’altra. Un brutto capitolo fatto di promesse, lusinghe e, pure, qualche poltroncina da sottosegretario. Anch’io, considerato uno spirito più libero di altri o forse solo più ingenuo, sono stato corteggiatissimo: ho avuto offerte dal Fli, e, più tardi, dagli uomini di Casini, con cui mi legava una vecchia amicizia bolognese, e anche da qualche altro. Molte «avances», anche allettanti, che ho, però, sempre rifiutato, perché credo che un deputato debba, innanzitutto, rispondere agli elettori che l’hanno votato in un determinato schieramento. Anche negli ultimi mesi della legislatura - quando, soprattutto nel centrodestra, c’erano confusione e fibrillazioni (chi voleva andare di qua con La Russa e la Meloni, chi preferiva trasmigrare di là con Monti o Montezemolo) - sono stato strattonato da più parti, ma, per coerenza, non ho mai voluto lasciare quel partito, il Pdl, che al momento, della nascita, mi era sembrato un’occasione irripetibile per cambiare l’Italia. Personalmente, ho commesso molti errori. Se è vero che il Palazzo non ha tenuto in gran conto la mia esperienza nel campo della comunicazione (ma non potevo conoscere a quale livello arrivasse la gelosia dentro un partito...), anch’io non mi sono mai messo in discussione. In tutti questi anni, sono stato un po’ sul piedistallo, aspettando segnali di pace che non sono mai arrivati. Sono, spesso, restato dalla finestra, a guardare lo spettacolo, non sempre edificante, senza riuscire a gettarmi veramente nella mischia: a volte, mi sembrava di ingannare me stesso e di tradire la mia storia anche un po’, quei cittadini, che mi avevano dato la loro fiducia e che volevo assolutamente prendere in giro con false promesse o discorsi costruiti sul nulla. Ho, così, portato a casa solo in minima parte quello che speravo. E, comunque, ho fatto una vera esperienza nel mondo della politica.