Scontro continuo

Ruby, la Boccassini gioca alla dottoressa con l'imputato Berlusconi

Giulio Bucchi

  di Pietro Senaldi   Doveva essere un j’accuse alla Emile Zola, è andata in scena una pochade da cinepanettone. Il pm Boccassini se la sognava da tempo la sua requisitoria contro il Cav sul caso Ruby. Nel giorno della festa delle donne avrebbe accusato l’imputato di sempre di essere un satiro, un maniaco, un corruttore di minorenni. Il ricchissimo e quattro volte premier Berlusconi sarebbe stato umiliato davanti a tutta Italia dalle parole di un magistrato donna, che ne avrebbe esposto al pubblico ludibrio vizi e debolezze. Una sorta di rappresentazione teatrale ripresa da tutti i tg da consegnare alla storia giudiziaria - un po’ come  Di Pietro che si leva la toga in aula o Forlani che perde la bava - in cui lei facendo la festa a Silvio  avrebbe riscattato tutte le donne sfruttate da uomini potenti, senza scrupoli e un po’ perversi. Non si spiega diversamente la reazione convulsa del magistrato di fronte al certificato medico che mandava a pallino il progetto: l’agnello sacrificale è ricoverato in ospedale per una congiuntivite aggravata, legittimo impedimento, bisogna rinviare la performance. E qui il registro da epico è presto diventato comico, Dreyfus ha lasciato il posto a Massimo Boldi.  Con il rigoroso pm  in pieno furore accusatorio che in mancanza dell’imputato processava i dottori,  rei di agevolare la tecnica dilatoria di Berlusconi. Quindi  si sfilava la toga per vestire lei stessa i panni del medico e diagnosticare che Berlusconi non stava poi tanto male. Ma poi tornava di nuovo spietato pm e chiedeva la visita fiscale per il Cavaliere in ospedale. Una volta trasformato il processo al potere in operetta, giungeva l’immancabile finale amaro con il giudice condannato dai suoi  pari per eccesso di zelo: il legittimo impedimento c’è, l’udienza slitta.  Capita così,  quando un processo finisce per sembrare a chi guarda da fuori anche una questione personale. Non è la prima volta che il moralizzatore finisce moralizzato. Se non si trattasse di questioni così delicate, se il braccio di ferro tra parte della magistratura e Berlusconi non avesse di fatto  paralizzato la vita politica italiana per vent’anni, si potrebbe indugiare ancora divertiti sui paradossi di questa vicenda. La rossissima pm che neanche fosse la Minetti gioca al dottore in un processo in cui l’imputato, allettato, è rimproverato di eccitarsi facendo travestire le ragazze da infermiere ha un sapore vagamente clinical, in cui il castigatore finisce per indossare i panni dei reprobi. I problemi di vista del Cav poi, secondo quanto dicevano i catechisti ai tempi in cui Silvio andava a catechismo, sono la prova assolutoria più forte che con Ruby penetrazione non c’è stata, al massimo qualche pensierino poco elegante dopo la cena elegante. E forse proprio per questo Ilda la rossa non riesce a capacitarsene. Ma chi più di un magistrato può provare di aver ragione? Il curriculum ci svela che la Boccassini non ha alcuna ritrosia a intentare processi e non ha timore di non riuscire ad arrivare a una condanna. Se davvero pensa che i medici stiano coprendo Silvio, anziché accusarli genericamente, li indaghi, ne ha i mezzi. Altrimenti, taccia.   E visto che in Italia esiste l’obbligatorietà dell’azione penale, il Csm intervenga perché delle due, l’una: o la Boccassini sa che i medici mentono, e allora non si spiega perché non processi anche loro,  oppure non lo sa, e quindi non ha il diritto di insultarli in aula; pertanto l’organo disciplinare della magistratura deve chiedergliene conto. Di scenette come quella avvenuta ieri, il Paese ha fatto capire di non poterne più. Il partito dei magistrati capitanato da Ingroia è stato ucciso in culla. Di Pietro è stato finalmente pensionato (e per l’ex pm non è la sola pensione). Bersani ha giocato tutta la sua campagna elettorale sull’anti-berlusconismo e questo è costato a lui la carriera politica e al suo partito la vittoria. L’assedio giudiziario al Cav ormai non è più solo un problema per il Pdl ma lo è diventato anche per la sinistra. Era riuscita a far fare al «Caimano» il passo indietro ma il ritorno in grande stile dell’offensiva giudiziaria ha reso a Silvio impossibile non ricandidarsi. E ora l’agitar di manette è il più grande ostacolo all’alleanza di governo Pd-Pdl per fare la riforma elettorale e reggere il timone durante la crisi come ci chiedono il presidente Napolitano, l’Europa e quei mercati che proprio ieri hanno ulteriormente declassato l’Italia.