Resa dei conti in Veneto
Tosi punisce il picconatore Zaia e i ribelli che lo criticano
di Francesco Specchia Le lettere di richiamo, in politica, (laddove potrebbero essere sostituite da una telefonata o un chiarimento in trattoria...) rappresentano il crinale della pazienza sfinita, la sfida, il Tomahawk di guerra disseppellito. Sicché, nella Lega Nord del Veneto inquieto, possiede oggi un significato profondo la lettera di richiamo che Flavio Tosi il segretario regionale - nathionàl, secondo l’antico lessico leghista- ha inviato al suo governatore Luca Zaia, e ad altri dodici «ribelli»; i quali, pubblicamente, su radio giornali e tv, ne avevano criticato la linea politica, sbandierando il possente calo di consensi (dal 27% all’11%) del partito. Tosi contro Zaia, il segretario contro il Presidente, il veronese contro il trevigiano: gli ex dioscuri del nord est l’uno contro l’altro armati non sono affatto un bello spettacolo. Per paradosso, proprio mentre con l’elezione di Bobo Maroni al Pirellone il Carroccio pur decimato potrebbe finalmente coronare il sogno della macroregione PiemonteLombardiaVeneto - anche se non si capisce ancora bene come -, ecco che scoppia il bubbone proprio in quella regione - il Veneto - che fu la più leghista di tutte. La cronaca dei fatti è implacabile. In un congresso «nazionale» della Lega, riunito martedì sera nella provincia di Padova e durato fino a notte fonda, sono emerse tutte le tensioni. Un sfrigolare di critiche durissime. Prima c’è stato il caso Santino Bozza: il fabbro di Monselice (ferocemente antitosiano al punto da dichiarare di votare Pd) e consigliere regionale ha presentato un esposto alla procura di Venezia contro le spese del partito, innescando le perquisizioni della Guardia di Finanza a Palazzo Ferro Fini. Poi ci s’è messo il Massimo Bitonci, neosenatore e già sindaco di Cittadella, unico sopravvissuto all’epurazione dei bossiani in regione; e subito tacciato d’«ingratitudine» per aver attaccato le «candiature (tosiane) sbagliate» e aver richiesto un nuovo congresso regionale. In seguito, s’è incollata a Bitonci la rediviva Francesca Zaccariotto, presidente della Provincia di Venezia ex-bossiana pure lei avvicinatasi un po’ a Maroni. Infine s’è riproposto, appunto, Zaia, con tutta la sua forza. El governador ha, per la prima volta, rotto gli indugi e la leggendaria prudenza: «Tosi aveva davanti a sé la sfida più difficile, ricompattare il partito dopo il congresso. Ha fallito. E, peggio, ha fatto diventare la ferita una cancrena ». E ha aggiunto, riferendosi alla «assurda» riunione preelettorale della Lista Tosi che vedeva profilare un nuovo progetto politico oltre la Lega: «Quando mai Tosi ha ricevuto il mandato di creare un nuovo partito? La Lega non è morta, non è finita. Ma deve ripartire dal suo brodo primordiale e da un manifesto condiviso...». Il tutto condito dalle persistenti accuse di candidatura sbagliate, di torti subiti, di affronti tollerati in nome di un’unità politica sull’orlo, oramai, della crisi di nervi. Dopodiché, è finita che Maroni ha sostenuto Tosi vincitore del congresso veneto col 56% e di congressi non se ne faranno altri; e che Santino Bozza è fuori del partito (la ratifica dell’espulsione non tarderà ad arrivare a via Bellerio); e che le lettere di richiamo a Gobbo, Callegari, Furlanetto, Del Lago, Bitonci e compagni, be’, non sono pallottole, semmai servono a riportare le «polemiche interne nelle loro sedi opportune». E che, suvvia, la suddetta guerra in salsa veneta viene derubricata a «settimana di sfogo post elettorale, che ci sta ma poi si supera», come commenta lo stesso Tosi che a buttare acqua sul fuoco è un maestro d’antica democristianeria. Epperò, insomma, qualcosa nella Lega schiantata da Grillo e svuotata dall’antica missione federalista s’è rotto. E la famosa foto che immortalava Flavio e Luca abbracciati, sorridenti e impomatati sotto l’Arena di Verona è un ricordo sbiadito. Vero è che al mito della Padania Felix, nel profondo nord est non ci credono più in tanti. Specie se si considera che l’abbraccio berlusconiano (determinante per l’emorragia dei consensi leghisti doc) è stato visto come un machiavellismo: svendere il Veneto per ottenere la Lombardia. Ed è il motivo per cui Tosi - forse appoggiato da Maroni - ritiene necessaria un’operazione «Balena Verde». Lega oltre la Lega ma non più tanto Lega: il decantato «modello Verona» un po’ Csu bavarese, un po’ vecchia Dc di Bernini. Anche perché non si è ancora intuito se Maroni rimarrà alla segreteria, o al suo posto verrà scelto un «quarantenne». Se si tratta di un quarantenne lombardo - Salvini - o un di quarantenne veneto - leggi Tosi - è un fatto, si capirà, che cambia le prospettive...