Povero "centrino"

Monti "silura" CasiniMa ormai è troppo tardi,gli elettori son già scappati

Matteo Legnani

  Altro che ago della bilancia. La Scelta civica di Mario Monti non solo non ha ottenuto i risultati sperati, ma è in procinto di autodistruggersi. L’ex premier da una parte, l’alleato centrista Pier Ferdinando Casini dall’altra, e Gianfranco Fini a casa. Divorzio consensuale, dopo la débâcle elettorale. Che smacco per il trio degli ex presidenti (due della Camera, uno del Consiglio). I centristi, demoralizzati per il loro 1,8%, hanno cominciato con la litania del rimpianto: «È chiaro che la scelta di non fare una lista unica dappertutto ci ha penalizzato», ha detto Rocco Buttiglione. Linea definita «fallimentare» anche da parte di altri big del partito. Mentre il prof sta pensando di andare avanti senza Pier.  Il leader di Scelta civica, infatti, già oggi riunirà i suoi per decidere come strutturare il nuovo partito. E Casini non ci sarà. Lunedì sera Monti ha annunciato che il suo movimento andrà avanti con l’obiettivo di avere più radicamento sul territorio che garantisca un maggiore collegamento con la base. Ma all’interno di Scelta Civica è anche in corso una riflessione sulle ragioni di un risultato al di sotto delle aspettative: un’autocritica sul modo in cui è stata gestita l’immagine del premier, sovraesposta al punto da essere «snaturata». A guidare il movimento dovrebbe essere il fondatore di Sant’Egidio, Andrea Riccardi, e per il momento non sembra esserci alcuna intenzione di allargare ai centristi. Ovvero, sì a gruppi parlamentari unici, ma non si va oltre. Da Scelta civica non confermano né smentiscono le mosse: «Il presidente Monti oggi (ieri, ndr) si è occupato di questioni istituzionali. Ha incontrato il numero uno di Bankitalia, Ignazio Visco, e i ministri Grilli e Moavero per analizzare la delicata situazione dei mercati e dello spread...». E prima c’è stato il Cdm.  Da oggi, però, si lavora sul Parlamento. Consapevoli di non essere determinanti per cambiare gli equilibri politici. Con il suo 10%, infatti, la coalizione dei moderati guidata dal premier uscente non ha nessuna chance di cambiare la situazione uscita dalle urne. Puntavano al 15% ma si sono fermati prima. L’ambizione era di condizionare i giochi, soprattutto al Senato, obbligando il Pd dato per vincente a trattare la formazione di una coalizione ed erigersi a custodi della governabilità e invece sono irrilevanti. A Palazzo Madama saranno 18 senatori, più uno eletto all’estero, più il senatore a vita Monti. Totale: 20. Troppo pochi per garantire il contributo necessario a far nascere un governo guidato da Bersani. Casini, del resto, ha subito ammesso la sconfitta. E nel quartier generale dell’Udc c’era un’aria funerea. Ancora Buttiglione: «Serve un governo di larga coalizione che duri cinque anni», ha dichiarato, «ma noi dobbiamo porci degli interrogativi. È chiaro che o diamo vita a un partito insieme a Monti, oppure Casini dovrà ammettere che la sua linea è stata fallimentare». Sembra che Monti intenda procedere senza «la vecchia politica». di Brunella Bolloli