L'editoriale di Belpietro

Berlusconi? E' il peggiore. A parte tutti gli altri

Andrea Tempestini

di Maurizio Belpietro   Che cosa succederebbe se lunedì pomeriggio, all’apertura delle urne, si scoprisse che Grillo è il vincitore? Molti festeggerebbero, perché il successo del comico coinciderebbe con la sconfitta della vecchia classe politica, che in un sol colpo verrebbe mandata a casa. Ma poi? Che cosa accadrebbe una volta passato l’entusiasmo? Nessuno può dirlo con certezza, ma basandoci sull’esperienza di quanto è accaduto nelle amministrazioni conquistate dal Movimento 5 stelle, come ad esempio Parma, e dalla lettura del programma grillino, qualche idea ce la si può fare e per quel che mi riguarda mi vengono i brividi lungo la schiena. Non già perché i giovanotti dell’accoppiata Grillo-Casaleggio siano cattive persone, gente da cui temere per la propria incolumità, ma in quanto appaiono una banda di ragazzotti piena di buona volontà ma di scarso senso pratico. Meglio, suggerisce Grillo: così non sono compromessi con la vecchia politica. Ma essere una persona piena di ottime intenzioni e qualche idee strampalata non significa essere un buon amministratore. Quante sono le aziende che sebbene siano gestite da bravi ragazzi vanno gambe all’aria? Tantissime ogni anno. L’inesperienza  può provare l’assenza di  legami con il passato regime, ma non la capacità di guidare un Paese complesso come l’Italia. Provate solo a immaginare gli effetti di alcune misure propugnate dai grillini, tipo ad esempio l’abolizione del prelievo alla fonte. Secondo i seguaci del comico lo Stato non dovrebbe trattenere ogni mese - tramite i datori di lavoro - le tasse sulla busta paga, ma dovrebbe  riservare a operai  e impiegati il trattamento già in vigore per  gli autonomi, i quali versano le imposte a fine anno. In tal modo i dipendenti si troverebbero tra le mani più soldi ma avrebbero una spesa in più, quella del commercialista che compila la dichiarazione l’Irpef. E  poi c’è il rischio che qualcuno faccia il furbo o che semplicemente non abbia i soldi perché al momento di pagare si è già speso tutto.  All’evasione di chi oggi sfugge ai controlli si aggiungerebbe l’evasione di chi ora non può materialmente evadere. Risultato: da una proposta teoricamente giusta ne verrebbe un danno enorme per le casse dello Stato. Altra idea pazza: il reddito di cittadinanza, cioè un salario per tutti, anche per chi non lavora. Bella proposta. Ma chi paga? La fondazione David Hume ha calcolato che un simile sussidio non costerebbe meno di 34,5 miliardi, più o meno l’equivalente di una manovra, dieci miliardi in più di quanto è costata l’Imu. E chi li mette? Da quale voce del bilancio pubblico li si tira fuori? Nuova pensata: via la riforma delle pensioni. Si torna a riposarsi con 35 anni di lavoro e comunque non oltre i sessant’anni. Giusto, ma i 35 miliardi necessari a finanziare l’operazione dove li troviamo? L’elenco può continuare con il blocco delle Grandi opere che ci farebbe rimanere un paese dalle strade eternamente intasate e dalle ferrovie scalcinate. È questo che vogliono gli italiani quando pensano a Grillo? Un voto di protesta contro i politici che invece di fare danno ai politici li fa all’Italia? Peggio mi sento poi al pensiero che vinca Bersani e i suoi compagni. Non solo perché, come ha ben spiegato l’altro giorno uno che li conosce bene come il sociologo Luca Ricolfi, la stella polare della sinistra è la spesa pubblica e dunque più deficit e un debito pubblico alle stelle, ma perché le proposte della sinistra sono tutte aria fritta. Il segretario del Pd ha provato negli ultimi tempi a fare qualche fuoco d’artificio, dimostrando solo di non saper far di conto. Per lui la soluzione di tutti i mali, cioè il sistema per fare cassa e finanziare i sussidi che vuole regalare alla sua base elettorale, sta nella patrimoniale sui grandi patrimoni immobiliari. I ricchi che hanno le case con un valore superiore al milione e mezzo di valore catastale pagheranno i conto dei più poveri.  Bello slogan, ma Bersani non è Robin Hood e il prelievo non funziona come lui vorrebbe, perché le case che superano il valore indicato dal compagno segretario sono poche migliaia. Tre professori (con master veri, mica come Giannino) hanno studiato la proposta e ne hanno concluso che se si vuole tassare di più il patrimonio superiore al milione e mezzo di euro, le cosiddette abitazioni di lusso dovrebbero essere quasi espropriarle, aumentando le aliquote di almeno dieci volte.  Ma se Bersani ha sbagliato le cifre della patrimoniale, ancor peggio è andata con l’ultima trovata della campagna elettorale, quelle sui ticket specialistici, che il leader Pd ha promesso di abolire. Per cancellarli non servirebbero 800 milioni come ha detto, ma 6 miliardi, perché i ticket già oggi valgono 4 miliardi e l’anno prossimo secondo la legge di stabilità finanziaria arriveranno a 6. Da qui si capisce che l’unica crescita che può garantire il segretario del Pd è quella del debito pubblico. Ma c’è di che preoccuparsi anche se vince Monti. Il presidente del consiglio, rispondendo a una mia domanda in tv, ha negato di aver messo a rischio i soldi degli italiani con l’operazione Monte dei Paschi di Siena. Come è noto il governo ha stanziato per la banca senese 4 miliardi sotto forma di bond, ossia l’equivalente dell’Imu sulla prima casa. Si tratta di un prestito ibrido e opaco, perché in questo modo il Tesoro pur non controllando la banca partecipa al rischio d’impresa senza avere né i benefici né le tutele necessarie. Se Mps va bene si vedrà infatti restituiti i soldi, ma se va male potrebbe subire perdite come se fosse un azionista, nonostante al contrario degli azionisti non abbia diritto di voto, cioè non eserciti alcun controllo sulla banca. Perché Monti ha accettato di prestare soldi all’Mps a queste condizioni? Errore o calcolo? Mancata valutazione del rischio o desiderio di dare una mano alla banca dei compagni? Nell’uno o nell’altro caso, un buon motivo, che si aggiunge ai tanti di cui abbiamo parlato ieri, per non votarlo. E allora? Scartati Grillo, Bersani, Monti e autoesclusosi Giannino per manifesta inattendibilità, a meno di non volersi buttare su Ingroia, che cosa resta? La risposta è scontata. C’è Berlusconi, con i suoi errori, le sue debolezze (quasi tutte al femminile), ma anche con qualche cosa di positivo: l’unico che ha dato prova di voler davvero tagliare le tasse e in almeno un caso di averlo fatto. Sarà poco, ma è sempre meglio di chi, da Bersani a Monti, le imposte ha dimostrato solo di saperle alzare.  Berlusconi non è il migliore. Sono gli altri che son peggio di lui. Per cui oggi e domani, ricordatevi di Montanelli, che si turò il naso e andò a votare.