L'addio al guru

Casaleggio, la profezia nel testamento politico: "Battiamo Renzi tra un anno"

Andrea Tempestini

C’è un testamento politico. Gianroberto Casaleggio sapeva di dovere andare. Il figlio Davide, 39 anni, gli era al suo fianco da sempre, di recente ancora di più. È lui l’erede designato di famiglia e il braccio operativo che ha contribuito a formare il gruppo M5S al Parlamento europeo (suoi i colloqui con l’Ukip di Daivd Farage). A lui e non tanto al padre, dicono i transfughi, sono da attribuire le espulsioni in rete dei dissidenti, ma di scendere in campo, per ora, non se ne parla. Continuerà a gestire da dietro le quinte l’organizzazione del Movimento e dovrà stringere un patto con Di Maio e gli altri. Due giorni fa l’ultima telefonata del guru al gruppo parlamentare: «Andate avanti così». Lucido fino alla fine, il fondatore ha appuntato progetti per il Movimento, ha tracciato linee, ha suggerito percorsi da seguire con un obiettivo preciso: le elezioni nel 2017. Il suo sogno era portare i Cinquestelle al governo del Paese, ma prima ancora sognava la conquista di Roma, lui così profondamente nordico e con la casetta in campagna nel Canavese, il suo buen ritiro. Roma e se possibile Torino: vincere in questi due Comuni era per il guru un’impresa fattibile, aveva scelto lui stesso, non era un mistero, le due candidate sindaco e vedeva la vittoria a un passo. Per Virginia Raggi, l’aspirante inquilina del Campidoglio che ieri ha annullato ogni impegno della campagna elettorale e si è precipitata alla Camera dei deputati per piangere insieme al resto della truppa, Casaleggio aveva confezionato uno staff di comunicatori e dato precise indicazioni al direttorio: ogni decisione della Raggi, anche una volta eletta, avrebbe dovuto passare al vaglio dei fedelissimi del guru. Ma guai a definirlo un commissariamento: «Se lo dice Gianroberto si fa e basta». Come quando Marcello De Vito, ex consigliere capitolino pentastellato, uscito sconfitto dalle comunarie, premeva per farsi assicurare almeno il ruolo di vicesindaco della Raggi creando qualche mal di pancia alla pattuglia romana dei grillini. Raccontano che «Gianroberto lo abbia convocato a Milano» e gli abbia fatto capire, con serena fermezza, che avrebbe avuto di sicuro qualche ruolo, ma adesso non era il momento di alimentare tensioni. «Lavoriamo insieme per vincere». Casaleggio faceva soprattutto questo. Da geniale visionario di poche parole e molta tecnologia, era diventato con la creatura partorita insieme a Beppe Grillo, un faro per una truppa eterogenea composta in larga parte da neofiti della politica, mossi dalla smania di aprire il palazzo come una scatoletta di tonno e di urlare al mondo il loro mantra anti-casta: «Legalità» (di recente silenziato, visto che anche il Movimento ha avuto i suoi problemi). «Gianroberto faceva come la Democrazia cristiana ai tempi d’oro», spiega una delle voci più autorevoli tra i Cinquestelle, «una radicalizzazione nelle parrocchie, gestiva tutto sul territorio, aveva i suoi uomini nei punti chiave». Se Grillo è il leader che riempie le piazze, Casaleggio è stato l’eminenza grigia. Chi prenderà il suo posto? Il primo a correre a Milano, ieri, è stato Luigi Di Maio. Non Alessandro Di Battista, non Roberto Fico, non il resto del direttorio, ma il giovane vicepresidente della Camera che molti vorrebbero candidato premier nel 2017 contro Renzi. Il delfino, però, dovrà vedersela con Davide Casaleggio. I due dovranno affrontare la fase della transizione e tenere insieme il piano burocratico- organizzativo (Casaleggio Associati) con quello politico gestito da Grillo (che però vuole fare un passo di lato) e dal direttorio. Situzione difficile perché si rischia l’anarchia e perché il garante non c’è più. di Brunella Bolloli